Lettera a Fulvio Pelucchi, stroncato troppo presto dal Covid
Roberto Alessi scrive all’amico Fulvio Pelucchi, morto di Covid nei giorni scorsi. “Uomo perbene, generoso, insegnerà l’allegria a Dio”.
Roberto Alessi a Fulvio Pelucchi
Questa che leggerete è una lettera aperta a un mio grande amico ucciso giovane dal Covid, il bastardo. È Fulvio Pelucchi, detto Pelo, che non è famoso, anche se conosceva i famosi.
Perché l’ho voluta pubblicare? Per celebrarlo, certo, ma anche perché tutti noi dobbiamo dare un valore più alto all’amicizia. L’amicizia vera va oltre alle parentele, ci avvicina a Dio: rispettiamola. Sempre.
Lettera a un amico e al suo senso della vita
Caro Fulvio, insegnerai a Dio l’allegria.
Sono devastato, sì, caro Fulvio. Sono giorni che piango. Io ho continuato a chiamarti Fulvio, ma tutti, parafrasando il tuo cognome Pelucchi, ti chiamano Pelo. Ma non sono solo.
Con me piange Betta, la tua Bettuccia (lei ti chiamava Peluche), che mi hai presentato trent’anni fa e che ho sposato, e continuo a ringraziarti. Piange Larry, che si chiama Fulvio Cioni, ma tutti chiamate Larry perché assomigliava a Larry Bird, il grande giocatore di pallacanestro. Piange Luca Boldrini, nostro amicissimo, Enrico Cavalli dal Portogallo, e tutti gli amici che sono cresciuti (e ingrigiti) con te, con me. Tuo figlio Bado, disperato senza di te, la sua roccia.
Questo virus è così cattivo che penso che non possa essere opera di Dio. “Anche se per tutto quello che di male l’umanità ha fatto, forse ce lo meritiamo”, mi sottolinea Betta.
Sei un uomo pulito, generoso, simpatico, che fa dell’allegria uno stile di vita, e l’hai trasmesso a tutti noi, da sempre. Com’è possibile che Dio abbia voluto privarci di te? Oltretutto sei sempre stato prudente in questi mesi, tanto che non ti vedo da un anno per il Covid.
Ieri sono stato due ore al telefono con tua sorella Kristiane. E non erano nemmeno passati due minuti di lacrime, che abbiamo iniziato a ridere di quante ce ne hai combinate. “Era dispettoso, e si divertiva a prenderci in giro“, mi diceva. Le ho ricordato quando Walter Chiari, suo amico, ha offerto da bere a tutta una compagnia che nemmeno conosceva, anche se non aveva una lira. Di Gigi Meroni, la farfalla Granata del Torino, il grande amore di Kristiane.
Mi ricordo quando ti frantumavi le ginocchia a Inverigo a casa di Massimo Moratti che, generosissimo, ospitava tutti a giocare a calcio e poi si mangiava al buffet.
Quando eri un ragazzo, tornando da un viaggio, mentre guidavi, stavi due ore al telefono con Betta cantando le canzoni della Vanoni e Patty Pravo. E i tuoi ti hanno tolto il telefonino, allora carissimo, perché la bolletta superava il tuo stipendio. “Non lo sapevo”, mi ha detto Kristiane.
Ricordava, però, di quella tua mania di imprigionarmi, visto che eri grosso e alto un metro e novanta e passa, e per assordarmi sadicamente mi baciavi con lo schiocco nelle orecchie che poi mi fischiavano.
Mi ricordo i tuoi racconti di ragazzo, quando sbarellavi per Marina Occhiena, la bionda dei Ricchi e Poveri (“Un corpo da svenire”, mi dicevi): lei veniva ospite a casa vostra. Di quella volta che avevi dato un passaggio in Vespa a Corinne Clery, strafighissima e reduce da Histoire d’O.
La ricchezza di un amico
In questi giorni noi amici ci chiamiamo, e mi viene quasi da ridere che quegli energumeni testosteronici, grandi e grossi, alti tutti più di uno e novanta (io sono il nano della compagnia), piangono come bambini parlando di te. Tanto che mi attaccano il telefono in faccia, per un estremo senso di dignità. Ma qui c’è poco da essere dignitosi.
Ho voluto che questa nostra lettera fosse una lettera aperta, per sottolineare a chi non se ne rende conto il valore dell’amicizia. Per dire a tutti che non è una scemenza dire che “Un amico vale un tesoro”. Non bisogna dimenticarlo, e quel tesoro va tutelato in ogni momento, anche quando può sembrare pesante.
Qualcuno, per sottolineare quanto mi vuole bene, mi chiama fratello, e lo apprezzo. Ma l’amicizia va oltre, sale, supera le parentele, perfino la famiglia in certi casi, e si confronta con le stelle, apre il Paradiso dove ora tu sei.
Betta mi dice “È così banale dire che sono i migliori che se ne vanno”, ricordando quella menata che ci insegnavano a scuola sul poeta greco Menandro: “Muore giovane colui che è caro agli dei”. “Ma magari è vero”, mi dice Betta. “Magari dove è andato Peluche si sta molto meglio, e ora con Dio ha già organizzato una serata in allegria piena di musica”. Di certo insegnerà a Dio l’allegria, e di questi tempi c’è tanto bisogno di ridere.
Sono convinto che è così. Appena si potrà, ce lo siamo già detti parlando del funerale, organizzerò una serata epica in tuo onore. Risotto giallo, ossobuco, vino di qualità. Noi tutti non vediamo l’ora. So che non ci mancherai, sarai in ogni momento presente nei nostri pensieri. Che ridere. Se solo riuscissi a trattenere le lacrime.
Tuo, Roberto