Alla ricerca di… Alessio Boni, con Elena D’Ambrogio
Elena D’Ambrogio presenta l’autobiografia dell’attore Alessio Boni, tra saggezza familiare, esperienze nel sociale e la fascinazione per il teatro
Un’autobiografia a cinquant’anni? E i “famosi” cinquant’anni non cadono “nel mezzo di cammin di nostra vita”? Insomma, un’età prematura per trarre le somme della propria esistenza. C’è stato qualcosa a spingere Alessio Boni a raccontare prima a se stesso e poi a un eventuale pubblico come e perché, invece di seguire le orme paterne nell’industria-vendita di piastrelle – un posto sicuro, valore immenso al giorno d’oggi – ha preferito prendere la vita per le corna, affrontando l’avventura.
C’è stato qualcosa – si domanda – a indurlo alla pratica inconsueta di scrittore? Altro che! E la risposta? I mesi di inattività dovuti al lockdown che hanno impedito le esibizioni pubbliche sia nei teatri, sia per il piccolo e il grande schermo a un attore affermato come lui, in coincidenza con l’arrivo di Lorenzo, che lo ha reso padre regalandogli la sua personale “Cappella Sistina”.
Strano connubio per un silenzio pesante da sopportare nell’inattività, rotto dalla voce (o gli strilli?) di un bebè. Connubio favorevole a una pausa (sebbene non voluta) di riflessione sulla propria vita.
L’autobriografia di Alessio Boni
Ed eccola, la vita di Alessio. Stampata su poco più di 200 pagine che racconta come il bisogno di non sentirsi costretto in un’esistenza decisa in famiglia lo abbia indotto a lasciare la sicurezza di un’esistenza programmata, senza sapere verso quale futuro si sarebbe diretto. Una vita che, leggendola, si presenta tutta come un lungo processo iniziatico.
Comincia, questo racconto di formazione, con i primi tentativi per abbandonare il nido: Sarnico, sulle rive del lago d’Iseo. Con una sola consapevolezza:
“La percezione dolorosa della mia ignoranza, mista a una promessa di felicità. Sentivo visceralmente, che al di là della piazzetta del paese, del bar con i suoi volti, dei portici in riva al lago, si stendeva un mondo infinito e variopinto di cui non sapevo nulla”.
Il primo passaggio per realizzare un sogno – all’inizio fumoso – è la scuola alla quale si iscrive: scuola serale di ragioneria, l’unica in zona, anche se non è del genere culturale al quale aspira.
Utile, se non altro a dare il titolo al libro: Mordere la nebbia, quella nebbia notturna che poco prima della mezzanotte lo attendeva all’uscita dall’istituto, con la sua morsa di gelo.
Il secondo passo, a diciotto anni, è l’immatricolazione nella polizia. “Ero intriso, confesso, nell’immaginario del film Serpico”, interpretato da Al Pacino. Ma presto si rende conto che quella vita, nella famosa “Milano da bere” non era fatta per lui.
Da Iseo all’America
E perché, allora, non aderire all’idea di un amico di fare un salto in America per imparare l’inglese? New York, Orlando, Miami, San Francisco, viste, vissute e visitate con l’aiuto di un’auto noleggiata.
Quell’esperienza è stata per Alessio uno choc culturale. Trova lavoro a San Diego in un ristorante, prima della scadenza del permesso di soggiorno, e gli ultimi dollari prima della partenza se li perde alla roulette.
Tornato in Italia, dopo una serie di lavori precari, che nella maggior parte dei casi prevedevano lo stare sul palco (anche solo come animatore) – cosa che gli piaceva moltissimo – pensa di imparare a fare l’attore e si iscrive al Centro Sperimentale. L’esame finale lo affronta con la commissione fatta da Luigi Comencini, Giulietta Masina e Mauro Bolognini, recitando il dialogo di Betsy.
In mancanza di una “spalla” lo esegue saltando da una sedia all’altra, dando voce e personalità a due personaggi diversi. Si colloca all’undicesimo posto.
La scoperta del teatro
La sua fascinazione per il teatro, che non lo lascerà più, avviene quando al Sistina assiste alla Gatta Cenerentola di Roberto de Simone.
Ormai ha scoperto lo scopo della sua vita. In attesa di iscriversi all’Accademia Nazionale di Arte drammatica Silvio d’Amico, segue la scuola privata di Alessandro Farsen, lavorando come cameriere in un ristorante.
Nel 1989 segue le lezioni a pagamento di Andrea Rallis, e mentre partecipa alle prove dei Sette contro Tebe di Eschilo, è allora che gli capita l’occasione di dover sostituire un attore infortunato. “Finalmente in scena!” (anche se provvisoriamente).
Finché vengono aperte le iscrizioni a uno stage di un mese alla scuola di Strehler per la recita dell’Avaro di Molière.
Il suo rapporto con il grande Strehler è stato fondamentale quanto breve, terminato purtroppo con la morte del regista. Questi, i faticosi inizi della carriera di Alessio Boni, seguiti da partecipazioni televisive con puntate di miniserie. Con I cento Passi e La meglio gioventù di Giordana è il suo fortunato debutto nel cinema.
L’inizio dell’impegno civile
Dopo di che, Alessio sente il richiamo per l’altrove. È anche il momento del suo impegno civile attraverso i viaggi nei paesi problematici. Comincia a Belo Horizonte, dove viene a contatto con le persone del lebbrosario. Una lezione di vita per lui.
I suoi interessi sono conoscere, aiutare, imparare: conoscere “gli altri”, i meno fortunati di lui, aiutarli ad affrontare le difficoltà, e completare la sua crescita come uomo prima che come attore.
Professionalmente riesce ad accrescere la sua personalità di interprete dei caratteri umani immedesimandosi nei personaggi che interpreta. Da Heathcliff di Cime tempestose a Michelangelo, da Caravaggio, nel 2006, ad Andrea Bolkonskij, nella miniserie di Guerra e pace. E lo confessa con umiltà.
Contemporaneamente usciva il film Arrivederci amore, ciao per la sceneggiatura di Massimo Carlotto. Boni interpreta la parte di Pellegrini, per la prima volta nei panni scomodi di un personaggio negativo. Nonostante i suoi timori, il film gli procura il Globo d’oro.
Le esperienze più recenti
Con il gruppo Cesvi si reca in vari paesi travolti da gravi problemi socio-economici: Zimbabwe, Myanmar, Perù, e altri luoghi. Finché nel 2016 è in una Haiti devastata dall’uragano Mattew.
Nel 2011, dopo aver interpretato in una miniserie della Rai Walter Chiari, personaggio affascinante quanto inafferrabile, per conto del Cesvi si reca a San Pietro di Paternò, un centro fatiscente dove ha modo di constatare che miseria, ignoranza e violenza – specie contro le donne – si trovano anche a un passo da casa nostra.
Nel 2019, passando da Lesbo per visitare un ospedale pediatrico gestito da Medici senza frontiere, tocca con mano la tragedia dei migranti in balia dei loro sogni e della speranza, ma costretti a vivere nella durezza della realtà in cui sprofondano.
La nebbia è una costante della vita, andare oltre è saperla vivere.
“Nessun limite eccetto il cielo”, diceva Miguel De Cervantes nel suo Don Chisciotte, e Ulisse si spingeva anche più in là sfidando gli dei e il destino. Due riferimenti che hanno guidato Alessio Boni nell’ispirarsi ad andare al di là, dotto di quella saggezza famigliare fiera, osservante del comandamento “Mola mai” (non mollare!) che lo ha portato al successo.
a cura di Elena D’Ambrogio