Antonio D’Amico ricorda il compagno Gianni Versace a 24 anni dalla morte
Lo storico compagno di Gianni Versace, Antonio D’Amico, rievoca il grande amore della sua vita in un’intervista a firma di Roberto Alessi
La morte di Gianni Versace
Quel giorno me lo ricordo come se fosse ora: stavo lavorando. Poi la notizia: hanno ucciso Gianni Versace, a Miami. Era il 15 luglio del 1997. In redazione si erano impressionati guardandomi, la mia carnagione aveva un pallore di un grigio penetrante, senza lacrime, senza fiatare. Sentivo il sangue delle mie guance scendere verso il collo, iniziai a scrivere l’articolo, senza fiatare. Stravolgemmo il giornale (era Chi, diretto da Silvana Giacobini, io ero il suo vice).
“Il 2 dicembre Gianni fa 75 anni… 2/12/1946 – 15/7/1997”, mi scrive oggi suo fratello Santo Versace, usando il presente (“fa 75”), come se ci fosse ancora. Come se quel pazzo di Andrew Cunanan, un serial killer, non lo avesse ucciso con quei due colpi di pistola alla testa.
Quel giorno, accanto a lui, corse Antonio D’Amico. Era in casa. Gianni tornava dopo aver preso i giornali al Caffè Milano, dov’era andato a piedi. Perché lui, pur essendo un personaggio internazionale, con assistenti e maggiordomi, non aveva perso il senso della vita: la passeggiata, i giornali, il caffè al bar.
Antonio D’Amico era il suo compagno dal 1982. 15 anni insieme, uniti, in simbiosi, inscindibili, complici. Ed eccomi con Antonio D’Amico, bello come allora (in gioventù faceva anche il modello e i fotoromanzi per la Lancio), con una faccia matura, profonda.
Intervista a Antonio D’Amico
Antonio, un compleanno tondo. Come dice Santo: Gianni il 2 dicembre compie 75 anni.
“Quando stavamo insieme, eravamo così legati, così uniti, che davamo per scontato che li avremmo festeggiati insieme questi 75 anni. D’altra parte stavamo uniti ventiquattro ore al giorno. Ci sembrava impossibile scindere le nostre vite, pensavamo di invecchiare insieme”.
Tu però avevi la tua casa in corso di Porta Nuova, a Milano.
“Sono sempre stato indipendente, fin da ragazzo. Quando ho conosciuto Gianni prima è nata un’amicizia, poi l’amore, quindi abbiamo iniziato a lavorare insieme. Prima ero un rappresentate, poi, incontrato lui, mi occupavo di Istante, una linea della Gianni Versace. E ho continuato a avere una casa mia, perché mi è sempre piaciuto avere un posto solo mio. Ma in pratica ci andavo di rado, io stavo sempre con lui”.
Nel palazzo che fu dei Rizzoli, in via Gesù, dove aveva la sede anche il suo atelier, le sue sarte, la première, l’ufficio stampa.
“Certo, a Milano. Anche se con Gianni si viveva nel mondo, senza tregua. Aveva case pazzesche a New York, a Miami, casa Casuarina, dove avvenne tutto, a Moltrasio, sul lago di Como, dove anche tu sei stato ospite. Poco prima che lo uccidessero eravamo stati a Londra, aveva visto una casa immensa sul Tamigi, un palazzo del ’700 bellissimo, fantastico. Era deciso a comprarlo, e aveva già parlato con la fondazione del Principe Carlo che l’aveva in custodia, perché era un monumento nazionale”.
Pensava di vivere a Londra?
“No, Gianni pensava di farsi una casa a Londra. Lui impazziva per le case: costruire, ristrutturare, portare agli antichi splendori case che avevano vissuto un passato di gloria. Ma non si fermava mai, aveva una passione per le case, una sorta di investimento. Ma non le avrebbe mai vendute”.
Ricordo la sua frenesia, non si fermava mai. Le sue case stupende, che arredava con passione, tanto che creò una sua linea per la casa, ma non se le godeva.
“Quando è morto aveva 51 anni, ma cominciava a domandarsi il perché della vita. Cominciava a dirmi che avrebbe preferito vivere con una maggiore lentezza nei tempi e nei luoghi. Poi è andata come è andata”.
Gli ultimi momenti insieme
Era il 15 luglio 1997. Tu accorresti a soccorrere Gianni dopo gli spari. Al cancello di casa Casuarina il sangue, e lui a terra. Sei riuscito a risollevarti da quel ricordo?
“La vita mi crollò addosso, per otto anni sono rimato basito, stordito, sconvolto. Il nostro era un rapporto troppo forte. Poi, poco alla volta, mi sono ripreso, anche grazie al lavoro. Proprio quest’anno ho realizzato una collezione per Principe di Ragada, sia uomo sia donna. Ho un compagno, da molti anni ormai, Alberto, che non c’entra nulla con la moda, ha un’agenzia di viaggi e non ama mostrarsi. Con lui ho ricominciato a vivere, ma ancora oggi, dopo più di ventiquattro anni dall’uccisione di Gianni, se mi fermo a pensare mi viene di nuovo un groppo in gola, che non si soglie, per ore. Non si possono cancellare quindici anni di vita in comune interrotti così”.
Tu eri legatissimo alla famiglia. Santo e Donatella Versace li vedi ancora?
“No, uscito Gianni dalla mia vita non li ho più visti, con la morte di Gianni quei legami si sono dissolti”.
Per Alberto, il tuo compagno, non deve essere facile avere nel passato del suo compagno una figura così forte come Gianni Versace, un uomo e uno stilista che era l’emblema del glamour in tutti i paesi del mondo.
“No, non è stato un problema, anzi. Alberto ha sempre pensieri positivi, molto carini, su quello che è stato il mio passato. Perché quel passato è anche il mio presente: una metà di me è morta con Gianni”.
a cura di Roberto Alessi