Trent’anni dalla morte del mito

Eleganza e garbo hanno fatto di Audrey Hepburn una vera principessa del cinema mondiale, un mito intramontabile a trent’anni dalla sua scomparsa.

Quando ebbe inizio la sua carriera si dichiarò incredula rispetto al suo talento, al suo aspetto, addirittura a se stessa. Ma ha creduto fortemente nei risultati che raggiungeva, di cui era fiera e che non hanno mai cambiato il suo essere diva controtendenza.

Brillante e divertente in scena quanto schiva e malinconica nel privato. Il brutto anatroccolo, come la definiva la sua mamma, si è poi trasformato in un bellissimo cigno.

Dalle scritture a Londra come ballerina, a Hollywood che l’ha consacrata star. Senza eccessi, con il suo aspetto esile si è distinta come modello in un’epoca in cui imperversavano le maggiorate del calibro di Marylin Monroe e Liz Taylor.

Il desiderio di essere moglie e madre

Tuttavia, una lunghissima carriera cinematografica, con all’attivo circa trenta film, può sembrare un controsenso. In realtà Audrey Hepburn ha avuto una vita coronata dal successo e segnata da scelte giuste, con all’apice delle sue priorità la famiglia e la vita privata.

Prima della nascita dei suoi figli girava un paio di film all’anno, per poi osservare un lungo periodo di riposo.

Quando ebbe i bambini la decisione fu inappellabile, si sarebbe occupata di loro. Le era impossibile immaginarsi madre senza poterli accudire, senza accompagnarli a scuola, crescerli. Né avrebbe potuto essere una buona moglie se fosse rimasta impegnata sui set. Pertanto si è rifiutata di lasciare sia i figli sia il marito.

La guerra e l’infanzia

Sicuramente sono rimasti impressi su di lei gli anni difficili dell’infanzia, insidiati anche dell’abbandono da parte del padre e per il contesto storico della Seconda guerra mondiale, durante la quale, da giovane adolescente, ha conosciuto a lungo la fame.

Non le sono stati risparmiati gli orrori dell’epoca, incubi che l’avrebbero assillata nel tempo, sia a livello intimistico che fisico.

La malnutrizione subita per molti anni, con le sue conseguenze, hanno minato la sua salute lasciandole un metabolismo compromesso e una forma mai superata di anoressia.

Ma da questo terribile periodo ne esce riabbracciando le sue passioni, una tra tutte la danza, che diventa la miglior risorsa per la ripresa. Fin da bambina sogna infatti di diventare una ballerina, e realizza ampiamente il suo sogno.

Il successo con Vacanze Romane

Figlia di un uomo d’affari inglese e un’aristocratica olandese, la Hepburn non rinunciò mai a questa grande passione. Anche se il suo mito resterà legato alla fortuita congiuntura che la vedrà scelta nell’iconico film Vacanze Romane.

William Wylers stava cercando per il suo film un volto sconosciuto, incontrando la figura slanciata, gli occhi da cerbiatto e il portamento aggraziato della giovane ne fu conquistato. E la scelse per la parte che le è anche valsa, con incredibile sorpresa ma meritatamente, l’Oscar per il primo ruolo da protagonista. Così viene lanciata nell’Olimpo dei grandi.

Nei primi film, non potendo contare né sulla tecnica né sull’esperienza, sono stati importanti gli abiti indossati, il suo portamento e la dolce spontaneità. Di certo era una donna intelligente e delicata, che è riuscita a immedesimarsi nei ruoli che le sono stati affidati sapendo trasmettere nei film quell’emotività capace di catturare lo spettatore lasciandolo abbagliato.

Nessuno poteva immaginare quanto tanta solarità celasse una privatissima tristezza. La sua immagine pubblica brillava sotto il cielo di una radiosa fama, mentre a quella sentimentale era stata negata altrettanta fortuna.

Gli uomini di Audrey Hepburn

Il suo sorriso gioioso fu infatti offuscato da storie d’amore sfortunate. Con William Holden visse un’appassionata liaison, troncata velocemente durante le riprese del
film Sabrina.

Albert Finney e Ben Gazzara seguirono a ruota, così come breve fu la frequentazione con John Kennedy prima che, l’allora governatore, sposasse
Jackie.

Mel Ferrer, suo primo marito, da cui nacque, dopo diversi aborti spontanei, il primogenito Sean, mal conciliava il suo ego con la fama dell’attrice.

In Grecia conobbe poi il suo secondo marito, Andrea Dotti, che rimase folgorato da tanta bellezza, mentre per lei fu un cauto risveglio all’amore. Dalla loro unione nacque Luca.

Durante la gravidanza, Audrey, pur sapendo di aver sposato un gran seduttore, si trasferì in Svizzera fino al parto, mentre il marito rimase a Roma. La rottura tra di loro fu poi inevitabile.

Mariti di forte temperamento, sono stati entrambi poco inclini ad accettare di essere dei Mr. Hepburn.

L’acme con Colazione da Tiffany e l’impegno nel sociale

Nonostante ciò Audrey cavalca l’onda del successo con film indimenticabili. Interpreta Colazione da Tiffany quando il suo mito è ormai giunto ai massimi livelli. Il ruolo principale era stato riservato inizialmente a Marylin Monroe, ma ci fu poi una riscrittura del personaggio perché potesse essere adattato a Audrey. E fu un successo.

La sua innata eleganza vestita sia professionalmente che privatamente da Hubert de Givenchy ha conquistato le platee internazionali ottenendo i ruoli migliori, come in My Fair Lady. Quante ragazze si sono pettinate e vestite imitandola, cercando di copiare i suoi stupendi tailleur, i foulard e la frangetta…

Non solo la fortuna e un destino amico, ma anche la moda ha giocato certamente un ruolo importante nella vita di Audrey, che lei ha sapientemente assecondato indossando costumi e sentimenti per ciascun personaggio, rendendoli reali. Come i bambini, che travestendosi fanno credere di essere qualcun altro. Se il loro è un gioco spontaneo, così tanto da sembrare vero, il suo caso meritò un Oscar.

Dopo aver sedotto il mondo con il suo carisma pudico e senza provocazione, dopo aver abbandonato i set per la famiglia, i figli, il suo amato orto, le ricette; dopo essersi finta felice pubblicamente, si allontana definitivamente dalla scena cinematografica per abbracciare quella sociale diventando ambasciatrice dell’Unicef. Semplicemente perché era la cosa che desiderava fare. Un completamento che non poteva non appartenerle, per retaggio mai perso della sua infanzia. Per quel trasporto verso il prossimo cui mai avrebbe rinunciato.