Al Bano, Gianni Morandi e Massimo Ranieri, i tre grandi miti della musica italiana (rigorosamente citati in ordine alfabetico), si incontreranno sul palco dell’Ariston per la 73ª edizione del Festival di Sanremo. Sarà uno scontro o una reunion?

Inizia a svelarcelo l’inarrestabile Al Bano, quel ragazzo che delle sue umili origini e della sua grande fede ha fatto la sua forza. Quel coraggioso giovane pugliese che vedeva nella caotica Milano il sole che avrebbe illuminato i suoi sogni e che, dopo 26 dischi d’oro, 8 dischi di platino, 15 partecipazioni a Sanremo e numerosi tour internazionali, possiamo affermare che non si sbagliasse.

Adesso – ci dicono – sarà al Festival con la figlia Jasmine, che vuole seguire le sue orme nella musica.

Alla soglia degli 80 anni (o “quattro volte 20”, come ama dire lui), per Novella 2000 il grande Al Bano ripercorre la sua vita tra i valori della sua terra, l’amore per la famiglia e una passione così forte da far cantare il mondo intero.

Intervista ad Al Bano

Con Morandi e Ranieri una storica rivalità o una solida amicizia? 

“Non siamo mai stati nemici. Anzi, ho sempre visto in loro due grandi amici da ammirare. Questi due signori erano sulla piazza già prima di me, e stare al loro fianco, a Canzonissima per esempio, è stato meraviglioso.

C’è una copertina di una Domenica del Corriere del ’69 con la Berti, Morandi, Ranieri, Modugno, Villa ed io, che fa trasparire la voglia e la bellezza dello stare insieme.

Ogni volta che Morandi, Ranieri e io ci siamo riuniti è stata una festa. Lo è ancora, perché la nostra amicizia nasce dal rispetto e dalla stima reciproca.

Ho visto parecchi show teatrali di Ranieri, col suo Riccardo III mi ha tenuto inchiodato, era incredibilmente perfetto. Di Morandi ammiro l’umiltà, il suo decisionismo e le sue scelte artistiche. Io invece, grazie alla natura, ho un’estensione vocale pazzesca con la quale posso fare delle cose diverse da loro”.

Cosa ne pensa di Amadeus come direttore artistico del Festival, e delle sue decisioni? 

“Amadeus è un po’ il Mozart di Sanremo. Ne sta facendo uno più bello dell’altro e l’idea dei superospiti italiani solo over 70 credo possa funzionare. Penso che sarà importante l’intervento del Presidente ucraino Zelensky e mi auguro che la sua presenza sia un’invocazione di pace.

Non dimentichiamo la partecipazione a Sanremo nel 1999 dell’allora Presidente dell’Unione Sovietica Gorbaciov, perché il Festival della canzone italiana in tutto il mondo ma soprattutto in tutta quell’area era quasi “sacro”: lasciava da parte la politica per far entrare trionfalmente la canzone ed unire.

Io ho dato al mondo intero la mia passione e la mia voce, ho cantato per i più grandi della Terra e ho visto il grande potere che ha la musica. In Albania sono riuscito a fare una rivoluzione senza guerra cantando Libertà. Era un messaggio che non poteva passare inosservato, e la stessa canzone è stata importante anche per la Romania”.

La cover del nuovo Novella 2000

‘Ho ospitato una famiglia ucraina’

È vero che ha ospitato per un anno una famiglia di rifugiati ucraini? 

“Sì, ho ospitato per un anno quattro persone. Due ragazzi che ora sono uno in una casa famiglia a Francavilla Fontana (qui vicino, e sa che la mia casa è sempre aperta per lui) e l’altro è stato adottato da una famiglia in America. Poi una mamma con suo figlio, che sono rientrati in Ucraina a Sumy ma che sono felici di essere tornati nella loro famiglia”.

Detiene il record di partecipazioni a Sanremo, 15 oltre a quelle come ospite. Che sapore e che significato ha per lei il Festival? 

“Ogni Sanremo è stato diverso, ha portato delle emozioni uniche e l’ho sempre amato. Ho detestato solo un periodo durante il quale, per via della situazione politica, era diventato l’oppio dei popoli. Addirittura avevano tolto le telecamere e lo trasmettevano solo via radio.

Per me, che ho le mie radici musicali proprio nel Festival, era sbagliato ed incomprensibile. Ho sempre vissuto Sanremo quasi come un Natale, un Natale pagano, la celebrazione delle nuove melodie. Io guardavo Domenico Modugno e mi dicevo ‘Arriverò anch’io su quel palco’”.

La prima volta a Sanremo

Cosa ricorda della sua prima volta?

“La mia prima volta è stata nel 1965 a Sanremo Giovani. C’erano Teo Teocoli e un signore barbuto, con un cappellaccio che stava a gambe incrociate fuori dall’Ariston a chiedere l’elemosina che poi mi sono trovato sul palco al primo posto: era Lucio Dalla. Quel Sanremo fu un momento speciale, da lì ebbi un gran successo. Nel ’67 Nel Sole fu un’esplosione, e nel maggio di quell’anno cantai coi Rolling Stones per la prima volta in tour in Italia”.

Oggi i suoni tradizionali sono affiancati da altri più nuovi, tutti campionati. Cosa pensa della nuova musica?

“Penso a tutti coloro che hanno fatto musica, dai Canti Gregoriani a Beethoven, Mozart, Verdi, Puccini, Mascagni… ogni tipo di musica è sempre stata l’espressione di quel momento storico. Oggi è tutto computerizzato e così anche la musica, che è praticamente morta. Non serve più chi la scrive, ci pensa il pc e, per certi versi, è drammatico”.

‘Il mio punto di riferimento? La terra’

Lei è un artista internazionale, ma anche un uomo della sua terra, di famiglia. Chi è e cosa l’ha resa il grande Al Bano di oggi?

“Da ragazzino ero affascinato da San Francesco e da Cincinnato, un imperatore romano che combatteva, vinceva e poi tornava a Roma, al suo aratro. Ho amato molto Papa Giovanni XXIII che sbandierava, con un orgoglio unico, il fatto di essere figlio di una famiglia contadina, orgoglio che condivido per la gioia di aver imparato da quei contadini tante di quelle qualità e virtù che non le baratterei con null’altro al mondo, sono la mia vera ricchezza.

Nella vita bisogna avere dei punti di riferimento come fari sicuri per illuminare i nostri cammini. Questo ho cercato di insegnare anche ai miei figli, unito all’importanza dell’internazionalità e di avere una mente aperta, cosa che mi ha insegnato la vita. Oggi sono anche un nonno, è l’altra dimensione dell’essere padre. I miei nipotini mi danno una gioia infinita e ogni mese mi sono programmato degli irrinunciabili giorni con loro”. 

In È la mia vita parla di un sorriso che può tornare. Qual è stata la ricetta per riuscire a realizzare i suoi sogni, e quale il suo pensiero felice per rialzarsi dai periodi bui?

“Ho avuto due fari straordinari: mio padre Carmelo e mia madre Jolanda. Mi ricordo che in quelle due stanze fredde, senza riscaldamento, in cui abitavamo, mio padre mi raccontava l’affascinante Odissea della sua vita, dandomi le più grandi lezioni di ottimismo, forza e caparbietà.

Mi ricordo in quella casa una sola scritta: ‘la vita è una dura lotta’. Io sono nato lì, ho combattuto da solo la mia guerra. Non mi sono mai arreso davanti a nessuna avversità, fin dal principio quando fronteggiavo la solitudine a Milano, lontano dalla Puglia che era l’unico mondo che avevo conosciuto fino a quel momento. Ho passione per le cose che faccio, ma soprattutto per le cose che farò”.

Le due donne della sua vita

Ci sono state due donne importanti nella sua vita: Romina è sempre stata accolta dal pubblico, quello di Loredana invece è stato un percorso più tortuoso. C’è qualcosa che vorrebbe chiarire?

“Con Romina non c’è stata alternativa, decise di andarsene e lo fece. Io rinacqui nel 1996 con È la mia vita, con una nuova vita e una carriera da solista. Ringrazio Romina per tutto quello che è riuscita a darmi, ma purtroppo mi ha anche tolto. E così ringrazio anche Loredana, sottolineando che non ha mai sottratto nulla a Romina che se ne era già andata, quasi dieci anni prima. Loredana è stata una sferzata di primavera in un periodo difficile della mia vita, la mia casa era spoglia, con lei sono arrivati due fantastici figli che amo e seguo esattamente come gli altri”.

Alla soglia degli 80 anni, con tante soddisfazioni ottenute, c’è qualcosa ancora da raggiungere?

“Intanto si dice ‘quattro volte vent’anni’, e ho ancora molte cose da fare: il tour italiano È la mia vita, registrerò all’Arena di Verona Quattro volte venti, un docufilm, un tour mondiale per il 2024 e una cosa molto bella che ancora non posso svelare”.

a cura di Francesca Pescali