Nel videoclip del suo ultimo singolo, Ra Ta Ta, Mahmood indossa una maglia con una scritta che ha suscitato curiosità. Il significato della scritta è “Palestina” e l’indumendo appartiene proprio a un brand palestinese che da anni è attivo tra Israele e Palestina portando avanti un lavoro importante che va oltre la guerra che purtroppo la fa da padrona in quel territorio.

La maglia indossata da Mahmood in un videoclip musicale è di un brand palestinese

Venerdì scorso è uscito su tutte le piattaforme il nuovo singolo (estivo) di Mahmood. Il titolo della canzone è Ra Ta Ta e sta facendo già ballare tutta Italia e non solo. Il videoclip ufficiale del brano ha già migliaglia di visualizzazioni e proprio nel guardarlo in molti hanno notato la maglia che l’artista indossa.

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Si tratta di una semplice maglia a manica lunga e collo alto molto aderente che riporta sul davanti una scritta che sembra araba. La scritta in questione significa “Palestina”, quindi come detto ha suscitato molta curiosità e fa intendere l’attivismo del cantante in questa situazione politica e di guerra tra Israele e Palestina che ovviamente riguarda anche tutto il mondo.

Ma dobbiamo dire che Mahmood non indossa una semplice maglia con la scritta “Palestina”, ma appartiene a un brand decisamente noto che fa anche un lavoro importante da molti anni. Stiamo parlando di un brand palestinese che lavora da alcuni anni come collettivo. Il suo nome è Trashy Clothing ed è stato fondato da Shukri Lawrence e Omar Braika, attivi tra Gerusalemme e Amman. Proprio in pieno lockdown, nel 2020, hanno dato vita a una fashion week digitale esibendo i lavori di 65 creativi provenienti da tutto il mondo.

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Lavorare in Medio Oriente non è per niente facile e, come lo stesso Lawrence ha spiegato, hanno “imparato a campionare digitalmente i modelli in modo da poter vedere la texture e lo spessore riducendo gli scarti”. La produzione dei capi è caratterizzate da motivi che affrontano vari temi sociali e politici. Citiamo ad esempio i diritti della comunità LGBTQIA, il pinkwashing (cioè lo sfruttamento del sostegno di campagne inclusive a scopi commerciali). E ancora i temi quali il razzismo e le istanze del femminismo.