Rinverdire lo scorrere del tempo nell’era del digitale sembra anacronistico. Ma per Angelo Gigli diventa la realizzazione di un progetto che sviluppa nel libro RelicFilms, presentato alla Biblioteca Gregoriana della Link Campus University. Al fotografo, che ha immortalato alcuni tra i personaggi più interessanti della storia recente come Giovanni Paolo II, la famiglia Savoia, Maurizio Costanzo, Giulio Andreotti, Milva, Pupi Avanti, è toccato questa volta ricevere consensi e tanti flash, raccontandomi di come il destino abbia avuto un ruolo fondamentale.

Il destino di Angelo Gigli

Cosa è successo? Alcune volte le tragedie diventano opportunità?

“Un incidente disastroso mi ha dato una grande opportunità. Prima di tutto personale, di prendere coscienza che non tutto il vecchio è superato, di capire il valore di quello che pensavo perso, e poi di poterlo raccontare. Ero in partenza per Los Angeles quando ricevo la telefonata dell’amministratore del magazzino in cui erano ricoverati gli scatoloni con tutto il mio materiale fotografico, e mi chiede di andare subito a liberare il locale perché dovevano fare dei lavori.

Un po’ seccato, e soprattutto di corsa, vado a controllare la situazione. Attonito, scopro che una tubatura rotta aveva provocato perdite d’acqua all’interno del magazzino, riducendo in poltiglia tutte le emozioni legate alle mie pellicole. Un disastro. L’archivio di una vita distrutto!”.

Cosa le ha fatto scorgere un varco?

“La tragedia, tra le lacrime, mi ha fatto poi vedere l’accaduto sotto una luce diversa. Un flash intuitivo mi ha aperto alla possibilità di ridare vita a ciò che era rimasto del mio lavoro, dei ricordi, delle sensazioni. È stato un momento difficile, grazie al quale ho però capito che nella tragedia non tutto va perduto. Ma non solo: poter recuperare le immagini segnate dall’avversità me le ha fatte riassaporare e amare ancora di più. Individuare un vissuto anche negli oggetti ha la sua importanza.

Intanto mi ha convinto a tornare a lavorare anche con la pellicola, mondo cui mi stavo riavvicinando già da un po’ di tempo. Sebbene nel ’98 sia stato un pioniere del digitale in Italia, avevo capito che entro cinque anni sarebbe cambiato il mondo della fotografia”.

Tra pellicola e digitale

E oggi?

“Forse siamo andati troppo oltre noi stessi per poter immaginare che cosa diventeremo, o cosa ne sarà di noi. Però sono contento che i nativi digitali abbiano capito che il contatto con la materia, con la pellicola, ha il suo fascino. Per me la fotografia si scrive sulla luce che scolpisce l’emozione, sulle sensazioni che si instaurano con la persona fotografata durante la preparazione, mentre lo scatto sta per siglarne l’effetto”.

I suoi pensieri sono legati alla trasformazione della materia, al tempo che se ne va, al rapporto tra un oggetto e un’azione fisica per il conseguimento del risultato finale…

“Sì, perché lo strumento che utilizzi ti coinvolge e ti regala tensione ed emozione. Ci sono anche ritmi e cadenze temporali completamente diversi dal digitale. Con la pellicola aumenta la concentrazione, forse è questa la considerazione principale. È indubbiamente più semplice e immediato usare macchine fotografiche di ultima generazione. Ma manca il coinvolgimento emotivo, a scapito anche della parte più professionale. Più o meno, chiunque può fare buone fotografie”.

Alla presentazione del libro a Roma è intervenuta la sua amica Anna Falchi.

«Con lei ho potuto aprire un dibattito su argomenti per me essenziali, ossia il coinvolgimento con la persona fotografata. Oltre alla competenza, occorre riuscire ad avvicinarsi il più possibile all’immagine che si ha in mente. Poiché un tempo si scattavano le fotografie senza poterle vedere, occorreva una concentrazione massima su e con il soggetto, per riuscire a realizzare un’immagine strepitosa, addirittura oltre l’immaginabile. Anche la paura di sbagliare scatenava adrenalina. Il risultato di una miriadi di sentimenti, di emozioni, di aspettative arrivava dopo, in studio, a pellicole sviluppate. Era quello il momento della verità.

Quel profluvio intimo ora non c’è più. Adesso si scatta, si guarda, si aggiusta, si rifà. È una morfina che ha annullato tutta quella tensione creativa che rendeva sempre emozionante il lavoro. Con Anna ho voluto trasmettere al pubblico presente quanto lo stato d’animo di intensa partecipazione fosse reciproco e alchemico, che anche le persone fotografate percepivano quella tensione creativa del non sapere cosa avrebbe rimandato l’immagine”.

Il libro RelicFilms

Nel libro ha voluto mostrare la differenza tra i due modi di fotografare.

“Infatti ho mimato due serie di scatti: uno su pellicola e uno su digitale, per far capire come il digitale ti mette un po’ i bastoni tra le ruote, uccide lo slancio creativo. Mentre la pellicola lascia tutto da scoprire, non ultimo che anche le foto devono invecchiare. Il deterioramento fa parte del ciclo della vita”.

Guardare al futuro grazie alla tecnologia fa parte del progresso, ma occorre misura per non perdere il naturale ritmo biologico.

“In medio stat virtus è una faccenda perduta. Quando la risoluzione è sufficiente per farci vedere l’immagine come ci interessa averla, non occorre estremizzarla. Questo libro mi ha fatto tornare con i piedi per terra”.

Anche il titolo deriva da una passione.

“Deriva dalla mia passione per il Blues. Da qualche anno si riproducono le vecchie chitarre della storia del rock. Vengono riprodotte con gli stessi danneggiamenti dell’originale, quindi con la cronaca della loro usura. Questo fenomeno viene chiamato Relic. Il valore aggiunto non è l’invecchiamento, ma il tempo che passa. Da lì a stabilire il titolo il passo è stato breve”.

Fa anche un’analogia con la penna stilografica.

“Scrivo con la stilografica da sempre. M’incanta il rapporto che c’è tra il pennino che scolpisce l’inchiostro sulla carta, e quella sensazione tattile che accompagna il pensiero che si va a vergare”.

Questo libro è l’inizio di qualcosa.

“Perché no? Per adesso è in programma una mostra, ma sto già lavorando a un altro libro che non sarà fotografico, ma dedicato allo scorrere del tempo. Teniamo presente che in RelicFilms parliamo dei miei primi vent’anni di carriera. Le cose più importanti probabilmente le ho fatte in seguito”.

Oggi che cosa cattura il suo interesse.

“Oggi è tutto troppo veloce. Non c’è neanche il tempo di andare a fondo. Sembra quasi che, in senso lato, non si abbia più il tempo di distinguere tra un’opera d’arte e una decorazione. Tornerà anche quel tempo”.

a cura di Elena D’Ambrogio