Quanti colori diventano “verdone” nell’arcobaleno di uno strano scherzo. Facile gioco di parole inventato dallo stesso Carlo Verdone per il suo secondo film Bianco rosso e Verdone, nel 1981. Ma questa volta i colori si direbbero assenti: sono vecchie testimonianze (fogli, paginette, lettere, appunti, fotografie… persino santini) emerse inaspettatamente dal passato.

Colpa di uno scatolone che, sfuggito di mano al suo maldestro quanto ignaro possessore, precipita da uno scaffale e sparpaglia sul pavimento il suo contenuto.

“Guarda, guarda! Che roba è?” si domanda l’autore del disastro. Sono quelle cose che, non sapendo sul momento dare una giusta collocazione, si accantonano nel primo contenitore a portata di mano. Certi che, a suo tempo, verranno sistemate a dovere. Lo facciamo tutti. Ma intanto il tempo passa e loro ristagnano in quel limbo triste e irriverente, prigioniere di un oblio forzato. Ci penserà il destino. E il destino ha l’aspetto più imprevedibile.

Una calda notte d’estate, un balcone proteso su un bellissimo panorama romano (“L’Altare della Patria e le tante cupole immerse in una luce opaca assomigliano a una grande ricostruzione cinematografica in esterno”) e Carlo che lo ammira. “Ciao Core!”, gli verrebbe spontaneo dire, in uno dei suoi momenti di scoraggiamento, ora aggravato dalla desolazione del primo lockdown.

Con una Roma in apnea, nessun rumore, anche l’aria sembra la si debba cercare. E la sensazione che quello sarebbe stato l’unico panorama per lungo tempo. Non resta che rientrare e, magari, far passare le ore fino all’alba riordinando tutte quelle carte che giacciono per terra.

Dentro lo scatolone di ricordi

In forma di scritti o di immagini, quelle “cartacce” a poco a poco si rivelano testimonianze di un passato rimosso. Del suo passato, e di quanti lo avevano vissuto con lui. Ricordi disordinati di una vita giunta alla vigilia dei settant’anni, oggetti poveri e scoordinati.

Ecco qualcosa che gli ricorda la sua passione per il treno, una triplice passione: il magico, insostituibile mezzo di trasporto verso una meta che crea l’idea del “viaggio”. L’insieme di un congegno tecnico che non si stancava mai di ammirare dall’esterno e dall’interno ogni volta che ne aveva l’occasione. Non ultimo, il suo sostituto (o il sogno?) formato dal plastico dei trenini Marklin che andava costruendo e che ancor oggi, completo e funzionante è in azione nella sua sede definitiva.

E quel ricordo bizzarro di quando, sulla strada che dal Veneto lo portava a Roma, si era dovuto improvvisare medico (non ve ne erano a bordo), perché, nondimeno, proprio il capotreno non si era sentito bene. E – come tiene a precisare – non è per ipocondria che si è appassionato alla medicina, ma proprio per una sua profonda propensione all’argomento. Tanto da riuscire a dare qualche buon consiglio. In quel caso fu facile: il poveretto era depresso perché abbandonato dalla moglie. Aveva solo necessità che qualcuno ascoltasse le sue pene, e una pasticca che gli facesse tornare la calma. Calma che tutti su quel treno avevano perduto per il ritardo accumulato. Ma come sempre capita a Verdone, le scene di vita sono poi quelle dei film e valgon bene qualche ora di ritardo.

Gli esordi

Guarda, guarda: una foto in cui compare con Francesco Nuti e Massimo Troisi gli ricorda l’ammissione al corso della Rai a Torino per attore comico.

Mesi passati in quella città che ha odiato, perché l’opposto della sua Roma nei colori, nella vivacità, persino nei rumori, ma alla quale deve il suo esordio e la sua fortunata carriera grazie al glorioso Non Stop. Proprio come gli aveva pronosticato il direttore Bruno Gambarotta, il torinesissimo interprete della più garbata “torinesità”.

E poi, piccole cose che gli ricordano l’amore platonico per la giovane prostituta Maria. L’amicizia e la condivisione del lavoro con i numerosi personaggi del cinema, così diversi dai personaggi della Roma della periferia, dei quartieri della malavita, abitata dalla gente che Carlo sa imitare così bene, al punto di immedesimarsi persino nel loro gergo grossolano e plebeo.

Quella curiosità che da ragazzo lo portava in cerca di stupore. Quelle atmosfere inedite nate da un’umanità che solo a guardarlo era già teatro, e che gli sono servite per dar spazio alla sua creatività registrando tutto ciò che capitava per tradurlo poi nell’anima dei suoi film.

Un libro di ricordi

Un parlare così diverso da quello colto e raffinato di Paolo Poli, l’attore che appare in una foto che li ritrae insieme sulla porta di un teatro in cui si rappresentava lo spettacolo Rosamunda. Come diverse erano le parole di una raccolta di lettere d’amore della signora Stella, tristemente innamorata. Tenute insieme da un nastro a fiocco, ritrovate perché finite chissà come in mezzo a quel bailamme di ricordi.

E dei ricordi, più che il loro numero colpisce l’atmosfera che creano. Piuttosto differenti l’uno dall’altro: a volte riportano una vicenda di famiglia, a volte fanno da pretesto per una semplice autoironia, a volte descrivono un paesaggio. Spesso parlano di cinema, imprescindibile in casa Verdone.

Ricordi percepiti come la “carezza della memoria” che Carlo promette presentando il suo libro. Leggeri e, appunto, carezzevoli. Non certo come la schivata zampata dell’elefante di Moira Orfei, ricevuta il giorno in cui, in compagnia di suo padre nella veste di nonno con i nipotini, era andato al circo. Spettacolo epocale per un clamoroso risvolto famigliare. La performance di Carlo alle prese con l’esuberante elefante conclama finalmente anche agli occhi dei suoi figli la sua comicità, fino a quel momento ancora dubbia.

Un libro divertente, con qualche pizzico di amarezza cui si addice il classico linguaggio romanesco. Un libro da non perdere in attesa, forse, di farne un film. Il film più autentico: quello della tua vita, nel momento in cui sorretti dalla saggezza si comprende che c’è ancora tanto da fare.

Far riemergere i ricordi dà prova di aver vissuto e non solo di essere esistito. L’illusione di una vita che continua, il conforto di un bagaglio da rispolverare, la certezza di continuare a essere un portatore sano di allegria.

Un compendio di sé, fatto di tanti sketch realmente vissuti, che è un bell’omaggio per le 70 primavere “un sacco belle” dell’autore, festeggiate con gli onorevoli auguri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di Papa Francesco.