“La gente crede che io abbia trovato tutte le porte aperte, in realtà le ho spinte”. Chi lo afferma è riconoscibile da una doppia CC che indica come già nelle sue iniziali Corra la Creatività.

A cinquant’anni dalla restituzione dello spirito di una donna che ha cambiato il mondo della moda attraverso il suo pensiero, Annarita Briganti nel suo libro Coco Chanel, Una donna del nostro tempo, per Cairo Editore, entra nella verità della protagonista e ce la racconta.

Restituire la vita ai grandi miti è sempre un modo efficace per rinnovare la loro immortalità.

Chi era Coco Chanel

Nata Gabrielle Bonheur Chanel, Coco sarà sempre la provinciale che ha trionfato sulla sorte. Una dittatrice dello stile. Dalle difficoltà trae ispirazione a oltranza, cogliendo lo spettro artistico del suo carattere: la ritualità, la tendenza all’isolamento, la difficoltà comunicativa e la forza. Tutto convertito in una grande luce. Quella più clamorosa è lasciarsi alle spalle Gabrielle, la bambina abbandonata, le origini modeste e sfortunate, e diventare un’icona dello stile.

Quando si dice Chanel tutti sappiamo di cosa si parla, apparentemente, perché la verità dell’individuo resta ignota. Però la vita privata dà molte spiegazioni del risvolto pubblico. Tanti drammi nel privato. La maternità tenuta segreta per non dare scandalo, la solitudine. La morte improvvisa del suo grande amore, l’uomo che l’aveva aiutata economicamente a diventare quella che era diventata, Arthur Capel detto Buy, il nobile inglese, proprio il giorno in cui l’aveva abbandonata per andare a sposare una donna del suo rango.

Due obbligate interruzioni di una promettente e poi affermata attività, che per due volte è fortunatamente risorta grazie a un elemento fondamentale: il talento.

Essere più che apparire. Lo scudo che tiene al riparo dagli attacchi esterni non è l’apparenza, sostiene Madmoiselle, ma i contenuti, la capacità e la determinazione. Individuata una strada, bisogna seguirla con programmi lucidi e, sempre, con un po’ di fortuna.

Anche ai giorni nostri credo che Coco Chanel non avrebbe sottovalutato la necessità di una conversione, e avrebbe continuato a mettere i pantaloni e non solo come indumento.

Affamata di cultura… e competizione

Ma come alimentava questa sua forza? Con la cultura. Era una fanatica lettrice, amava frequentare gli ambienti intellettuali, la fortificavano nella crescita personale, la nutrivano nel talento, tanto da saperne riconoscere altri. Come fece col noto compositore che, anche grazie a lei, potè diventare Strawinsky.

Ma anche con altri stimoli che il karma, secondo me, mette sul nostro cammino. Uno tra tutti per Coco aveva un nome: Elsa Schiaparelli, anche lei stilista molto influente all’epoca di Coco. Entrambe hanno visto la luce del giorno verso la fine del XIX secolo e la luce della celebrità nei primi anni del 1900: sono le donne che hanno fatto parlare di sé per meriti eccezionali.

La notorietà le ha poste in coppia, ponendo l’una di fronte all’altra nel proprio campo d’azione, in coppia, marchiandole di uno stesso stigma: la rivalità (quasi che ciascuna avesse bisogno di vivere dello splendore della sua antagonista).

Signore rivoluzionarie, che hanno portato la loro rivoluzione nei costumi dell’epoca, influendo sui comportamenti sociali e contribuendo con la loro intelligente attività a dare un volto al sostrato del movimento femminista nascente. E che importa se quel volto spesso ha i capelli alla maschietta, veste alla garçonne, e ostenta atteggiamenti sessuali disinvolti?

La rivalità con Elsa Schiapparelli

Quest’anno sono cinquant’anni che Coco non è più a capo della sua Maison al 31 de rue Cambon a Parigi. Sono cinquant’anni dalla sua morte. Ma se vogliamo celebrare la sua memoria dobbiamo parlare anche della sua antagonista, Elsa della Maison al numero 21 di Place Vendome. Sono antagoniste sull’interpretazione della moda, sebbene i loro percorsi di vita siano totalmente differenti.

Coco, orfana che prende la moda dalla strada. Coco il suo stile, oltre a farlo comparire nelle sfilate, lo manda per strada. Lo fa vivere nelle persone che camminano su scarpe con poco tacco, con gonne e camicette, con gioielli fantasia, giri e giri di collane che nulla hanno di valore, e soprattutto con cappellini arricchiti di ornamenti frivoli e divertenti. Le sue originalità gliele detta la sua provenienza: padre venditore ambulante, molti fratelli, madre morta di tisi, infanzia in orfanotrofio.

Elsa, rinnega le sue origini benestanti. Se la moda di Coco cammina per strada, sulle gambe di donne libere dalle costrizioni di una moda conservatrice e vessatoria, quella di Elsa Schiaparelli proviene da una famiglia più che benestante, si allontana per ribellione.

E l’occasione la trova nel matrimonio con un fattucchiere col quale fugge in America, che l’abbandona per la famosissima danzatrice Isadora Duncan.

Pur arrivando da mondi ed esperienze opposte si sono trovate a confrontarsi in quella fama di rivalsa che le ha portate a una instancabile competizione, che le ha connotate con identità contraddistinte.

Faida creativa

La loro faida, che ha infervorato non solo il dietro le quinte, è essa stessa leggenda. Un corroborante senza il quale probabilmente lo smalto della creatività di entrambe non sarebbe stato così radioso.

Era quando pubblicamente potevano esternare questa rivalità, che cresceva il loro compiacimento. Tanto da divenire stimolo primario delle rispettive carriere.

“L’artista che fa i vestiti” era Elsa per Coco. Per contro, Elsa non mancava di pubblicare nell’ultimo dei suoi dodici comandamenti: “Il novanta percento delle donne ha paura di esagerare e dei giudizi della gente, quindi compra un completo grigio, dovrebbe fare diversamente”.

Una concorrenza portata avanti tra place Vendome e rue Cambon, a due passi l’una dall’altra, senza far mancare anche gli eccessi.

Una festa nella Parigi che conta diventa teatro di esibizioni plateali quando Schiaparelli, vestita da albero, fu l’imperdibile occasione per Coco di spingerla, col pretesto di un ballo insieme, verso un candelabro dando anche una finalità simbolica alla mise esibita.

Tra il delirio degli ospiti che spensero le fiamme con la soda ci sarebbe stato da pensare. È così che litigano due vere signore! Del resto, non si è mai visto un eroe senza un antagonista.

Il paradosso di Coco

È singolare che Coco non gradisse gli odori. Eppure, cento anni fa, creò Chanel n°5. L’oro per molte donne ancora oggi. Anche Marilyn Monroe dirà di andare a letto sempre con qualche goccia di Chanel n°5, contribuendo alla fortuna di Chanel.

Una fortuna da predestinata. Una sopravvissuta che trasforma le cicatrici in successo. Non è che la vita ti sorride e tu crei. A volte la vita ti irride e tu crei.

Gli anni trascorsi nel monastero le indicano i tratti del suo stile: essenziale, pratico ma elegante, di classe. Dopo gli anni in cui impone lo stile “alla maschietta”, è la volta del tailleur con la giacca senza il collo, del tubino nero. Capi ancora oggi immancabili nel guardaroba di noi tutte. Sicuramente uno stile irrinunciabile per la principessa Carolina di Monaco. Complice la sua amicizia con Karl Lagerfeld, succeduto nella Maison a Coco Chanel.

Capi senza tempo come la giacca di tweed, valida alleata per ogni occasione sia casual che mondana. Carolina ne ha fatto un simbolo che ha trasmesso alla figlia Charlotte Casiraghi, oggi nuova ambasciatrice e testimonial del marchio Chanel.

Coco, con la sua paglietta in testa, seduta sul quinto scalino e l’immancabile sigaretta tra le labbra, si crogiolerebbe nel vedere che il successo continua.

a cura di Elena D’Ambrogio