Alla ricerca di… Fabio Testi con Elena D’Ambrogio
Elena D’Ambrosio intervista Fabio Testi per Novella 2000. L’attore si è raccontato a 360°: dalla carriera alla vita privata
L’affascinante del cinema italiano, per alcuni secondo per bellezza solo a Mastroianni, sta per accendere le sue 80 candeline. Il bilancio di questa bella età Fabio Testi lo segna con una carrellata di successi, oltre cento film e molti anni di teatro, tanti amori, varie esperienze internazionali e anche un forte richiamo alla vita rurale, quando non va a svernare in Brasile. Incontro Fabio Testi, felice di raccontarsi, fiero della sua vita e fortunato per il suo presente. E ancora parecchi progetti.
«Sono contentissimo di essere arrivato a questa meta e, in tre parole, rifarei tutto quello che ho fatto. Un’esistenza fortunata, soddisfatto del mio carattere, della mia cultura, della mia educazione che mi hanno consentito di toccare delle mete che mai avrei pensato di raggiungere. L’ho fatto grazie alle mie capacità e al mio carattere.
Sono stato e sono un uomo soddisfatto, con i miei tre figli, appena rientrati in Italia per le vacanze. Un nipotino nato da poco, con parto in casa, in campagna, dove vivo. È arrivata anche la mia prima ex moglie, con la quale ora ho un buon rapporto dopo vent’anni di tribunali. Così ho anche dimostrato che la mia teoria del volersi bene, della famiglia prima di tutto, vince sempre».
Il buonsenso e l’amore per i figli fa buttar giù anche qualche boccone amaro.
«Infatti, e alla fine… avevo ragione io».
La sua Hollywood personale, il suo mondo del Cinema, una via che all’inizio non le interessava intraprendere perché riteneva che questo lavoro non desse garanzie di continuità, ma che poi ha abbracciato, quante soddisfazioni le ha dato? Quanto si è divertito?
«Molto, moltissimo. Lavorare con i più grandi registi, con i migliori attori e attrici è strepitoso. Viaggiare molto, facendo un’esperienza del mondo piena ed entusiasmante, vivere tanti modi di lavorare. Rimpiango solo il fatto che avrei potuto fare qualcosa di più, ma mi sarei divertito di meno. Invece mi sono divertito veramente tanto».
Ha saputo scegliere, con ottimi risultati.
«Ho sempre considerato giusto dare a me il 51% del tempo e il restante 49% al lavoro. Ho fatto una carriera iniziando dal ruolo della comparsa, ho fatto l’acrobata come controfigura, poi per caso mi hanno chiesto di fare un film da protagonista che non volevo fare».
Ma il destino le stava bussando alla porta…
«Esatto, allora l’ho poi fatto come la- voro serio entrando in Accademia e via dicendo».
E via dicendo arriva l’Oscar.
«Quando ho vinto l’Oscar con il film Il giardino dei Finzi Contini di De Sica, non mi rendevo ancora conto di cosa significasse veramente, a parte l’emozione del momento. Dopo mi sono reso conto della grandiosità e della notorietà che questo premio ti porta. Anche all’estero quando proponevano Fabio Testi, io ero diventato: quello dell’Oscar. Mi ha aperto le porte più importanti. Quelle di serie A».
Un mondo di serie A anche al fem- minile. È diventata iconica l’immagine di lei con Ursula Andress. Facevate sognare.
«Un momento della mia vita bellissimo, lei era davvero stupenda, più modella che attrice. Voleva sentirsi libera. Io invece ci tenevo molto a recitare. Certo che con lei si era sempre al massimo della notorietà. Devo ammettere che un po’ mi scocciava di essere diventato il signor Andress, da quel presuntuoso che ero da giovane. Però era anche elettrizzante».
Anche con Charlotte Rampling immagino…
«Una storia bellissima. Donna stupenda, interessantissima e una grande professionista. Quando si gira un film si diventa amici, ci si vuol bene e allora diventa tutto naturale, spontaneo».
È molto facile innamorarsi su un set, la complicità è altissima, c’è confidenza, sintonia e così nascono gli amori.
«È proprio così, ricordo che con Anita Ekberg, giravamo un film La morte bussa sempre due volte c’era una scena d’amore che durava tutto il giorno. Chiaro che poi la sera vai e cena e poi a letto insieme. Non te lo stai neanche a chiedere, perché diventa una cosa naturale. Lavorando insieme si deve dare il massimo di sé perché il prodotto sia eccellente e questo comporta una forte unione tra attori per cercare sicurezze. Perché c’è sempre il timore di non rendere al massimo. Le conferme continue arrivano dalle persone che ti sono vicine, che stimi, a cui vuoi bene»
Anche adesso lei è un uomo felice- mente innamorato, e ben accompagnato mi pare.
«Il mio è un amore segreto, punto e basta».
Lei ha sempre una Musa ispiratrice nella sua vita: ufficiale o no, c’è. L’importante è non privarsi di chi o di cosa ci tieni, vivi sotto ogni aspetto.
«Ha detto le parole giuste: “sotto ogni aspetto”. Ci mancherebbe altro, altrimenti non ci sarebbe pepe e sale nella vita. Mi meraviglio che ancora adesso mi fermino per strada per chiedere un selfie, come una volta mi chiedevano l’autografo. Ora amo molto fare le letture nelle ospitate, poesie di Prevert, Garcia Lorca, Neruda, mi emoziona molto vedere che anche i giovani hanno bisogno di poesie d’amore. Che soddisfazione, che commozione. Mi sento un portatore di emozioni».
Cosa la fa stare bene?
«Stare qui in campagna, vedo pochi amici, ma buoni, faccio le mie letture, mi godo la natura: orto, giardinaggio… i miei cani, i miei cavalli, la famiglia. Ho qui tutto quello che amo, non sento bisogno d’altro. Sono fortunato e felice».
C’è un vecchio detto orientale che recita: il massimo della saggezza è amare quello che già si possiede. Con gli auguri di tanta buona saggezza!
A cura di Elena D’Ambrogio