Alla ricerca di… Freaks Out con Elena D’Ambrogio
La nostra Elena D’Ambrogio approfitta della recente proiezione del film Freaks Out a Venezia per chiedersi: chi sono i fenomeni da baraccone di oggi?
Maschere o macchiette? Alla 78ª Mostra del Cinema di Venezia è approdato Freaks Out attesissimo nuovo lungometraggio di Gabriele Mainetti, un film sui fenomeni da baraccone che tanto hanno ispirato la settima arte, e che per parecchio tempo era rimasto in attesa del momento giusto per rivelarsi nuovamente.
Il regista Mainetti stupisce inserendo in una delle pagine più cupe del Novecento lo spirito d’avventura. Un racconto di formazione e una sentita riflessione sulla diversità, senza ripudiare meraviglia e tanto meno realtà. Un’opera innovativa che gli è valsa il Leoncino d’Oro.
Chi sono i freaks? Chi erano un tempo?
Calchiamo l’orientamento psicologico per approcciarci con le idee più chiare all’opera che vedremo in scena dal 28 ottobre. Ignazio Senatore, psichiatra, psicoterapeuta e critico cinematografico la pensa così: due sono i filoni importanti nel film dai toni grotteschi.
Il primo è già nel titolo: Freaks, i “fenomemi da baraccone”, creature “mostruose” relegate ai margini della società perché diverse. È evidente che parlare di mostruosità fisica vuole spesso porre l’accento su una mostruosità interiore che diversamente non si saprebbe come evidenziare in maniera sensazionale.
Le creature mostruose di fantasia, come vampiri e zombi, devono suscitarci orrore che rimandi a una – spesso sottaciuta – crudeltà dell’animo. Non è questo il caso. Freaks Out è un mondo spettacolare che suscita nello spettatore commozione, divertimento, che lascia a bocca aperta.
In realtà i freaks, nonostante quei difetti fisici che li rendono soggetti perfetti su cui costruire mitologie e fantasiose storie intrise di cattiveria e repulsione, sono persone come noi, che hanno paura, che devono accettare la loro diversità. E la società deve fare altrettanto.
Dall’altra parte c’è la mostruosità del periodo storico incancellabile, il nazismo.
I due aspetti: storia e umanità estreme portati alla deriva si incrociano magistralmente e portano a ironizzare e a far riflettere sulla perdita di controllo dell’uomo e di conseguenza sull’annullamento dei valori umani.
Viene avanzata l’idea di sorridere degli orrori, utilizzando la comicità come potente forma di esorcismo del dramma. L’obiettivo è mostrare le brutture e le tragedie da un altro punto di vista che stimoli la comprensione e l’elaborazione di un pensiero critico.
Tantissimi film sono studiati con un impianto drammatico che poi abbraccia quello comico (uno per tutti: La vita è bella di Benigni). È questo l’insegnamento.
I freaks del mondo moderno
Mainetti già lo impartiva nel precedente film Lo chiamavano Jeeg Robot, dove il puro intrattenimento nascondeva sottotrame che strizzavano l’occhio a riflessioni profonde sul presente.
L’aspettativa di Freaks Out è alta, l’importante è far passare tra le righe ciò che conta in un contesto affascinante.
Detto ciò, sorge spontaneo chiedersi chi siano i freaks di oggi.
Per lo psichiatra sono sempre tutti i portatori di diversità fisiche o interiori. Non devono necessariamente essere creature mostruose, come quelle che popolano le realtà circensi. Anche i no vax oggi possono essere freaks, come un tempo lo potevano essere i “capelloni”.
Tutte le frange di ribellione o di emarginazione, volontaria e involontaria, possono essere considerate tali.
I veri freaks, però, sono i poveri, o quelli più genericamente definiti diversi. Anche perché è più semplice assegnare loro un’etichetta.
Questa è senza dubbio la vera mostruosità. Che porta a generare una certa solidarietà tra i freaks, come al circo: una mostruosità fisica spadroneggia sul normale, tanto da attrarre attenzioni con meraviglia.
Che per la società sia importante accettarli, accoglierli nella loro diversità, ammirarli nella loro unicità non deve essere una chimera, ma un naturale obiettivo da raggiungere.
Indebolimento delle tradizioni
È altresì importante far sì che accettino di far parte della società, come lo è farli sentire accolti, affinché non rimangano sparute sacche isolate.
La dignità conferita dall’accettazione tende a sminuire se non a cancellare ciò che repelle. Se invece si radica il concetto di non poter cambiare il proprio status non si può migliorare il livello sociale. Un annichilimento terribile per l’essere umano deturpato della speranza di una sana ambizione.
È vero che noi veniamo da tradizioni culturali dove il contadino si sentiva forte della sua categoria, l’operaio anche, e non vi erano rivalità perché ciascuno era collocato in una famiglia, chiusa e per questo forte.
Adesso il contadino si sente solo, senza quella tradizione che lo inorgogliva, se pur nella povertà. Era potente della solidità della sua condizione e del valore del lavoro. Adesso il tessuto sociale si è sfaldato, gli ideali si sono dispersi.
I freaks ci saranno sempre, i film li estremizzano per fare spettacolo. Uno spettacolo che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. In televisione vediamo sempre “I nuovi mostri”, perché la società si nutre di quella teatralità che la normalità non concede.
Poi, se esistono mostri contro cui puntare il dito, i presunti normali si sentono più buoni e più belli. In una società dove c’è il culto del corpo e del bello fare un film con Claudio Santamaria ricoperto dal pelo mannaro, Aurora Giovinazzo che si accende di un fuoco antico, il clown Giancarlo Martini dotato di magnetismo e Pietro Castellitto che cambia forma agli insetti, combriccola capitanata da Giorgio Tirabassi, è provocatorio.
Rimuoviamo la mostruosità che si annida in noi, senza però cancellare l’unicità della diversità. L’omologazione è comoda, la differenza è ricchezza e crescita.
a cura di Elena D’Ambrogio