Deve esserci qualcosa di ancestrale, se pronunciare il nome di una località causa suggestione. Forte dei Marmi ne è l’emblema. Una storia fatta di tante storie, da quelle dei rotocalchi, al jet-set, alla mondanità. Ma fatta anche di vita semplice, quella che i fortemarmini raccontano incuranti di quanto la loro vita sia diversa da quella dei turisti dell’alta società che la popolano durante le vacanze.

Una storia consacrata dalla natura prima ancora che dall’uomo. Un lembo di terra con larghe spiagge a perdita d’occhio, protette dalle maestose Alpi Apuane. Proprio i monti imbiancati del pregiato marmo. Già Michelangelo aveva scoperto dove era meglio esposto il punto magico della roccia: sotto il monte Altissimo, da utilizzare per assicurarsi la parte più duttile allo scalpello.

I primi ricordi del Forte

Ero in attesa del mio secondo figlio quando sono andata al Forte per la prima volta, poco meno di trent’anni orsono. È stato amore a prima vista. E la prima vista sono state le stradine all’uscita dell’autostrada, senza marciapiede, cosa che mi è parsa tanto buffa. I pini marittimi, come tanti immensi copricapo, due dei quali ho la fortuna di avere nel giardino della nostra casa in Caranna. Quando sono in villeggiatura li abbraccio al mattino presto, a piedi nudi.

Forte dei Marmi continua a essere il mio buen retiro. Quel posto magico dove, arrivando da Torino stanca delle fatiche che riempiono le mie giornate, ogni volta sento una sferzata di energia che sa di prodigioso. Sarà la bellezza di essere circondata da natura, tranquillità, passeggiate nel dannunziano polmone verde della Versiliana o in riva al mare.

Spesso, da buona mattiniera, mi inoltro in questo mondo che è fatto di paperelle che attraversano la strada per poi tuffarsi nel Fiumetto, di biciclette che sfrecciano disinvolte, di palline da tennis che incontrano le racchette già al mattino presto. Allora vado a trovare Marco e Lucia al Tennis Europa. Quante chiacchiere e quante partite abbiamo vissuto e viviamo insieme per poi, al termine, andare a prendere il gelato alla Gelateria Imperiale.

I borghetti a Vittoria Apuana dove faccio la spesa, e dove sembra di vivere in un’altra epoca. Ci si conosce tutti, i commercianti si ricordano le mie preferenze che già trovo messe da parte per me con una gentilezza genuina. I pasti consumati a casa, sulla terrazza, riparati dal sole o sotto il cielo stellato, circondati dalla magnolia, dall’olivo, dalle mimose che raramente riesco a vedere fiorite per la loro stagionalità, e ancora la spalliera di gelsomino che inebria l’olfatto e quella di gelsi che invece appaga il palato, i fichi e il melograno.

Questa è la Forte dei Marmi privata che amo, e che si accorda con quella più conosciuta e ambita. Non possono che coesistere per rendere inimitabile la fama che la precede.

Quella volta in Vespa

Perché nell’immaginario collettivo Forte dei Marmi è un luogo elitario, fatto di feste sontuose, lussuose ville, divertimenti e personaggi famosi. A partire dalla famiglia Agnelli, che l’ha lanciata come luogo di vacanze esclusivo intorno agli anni ’40. E da lì è partito il film, sempre in onda, della ridente cittadina che, pur con i cambi generazionali, mantiene immutato il suo mito. Fatto di Capannina, sempre uguale, non ha avuto bisogno di rinnovarsi. Certo, una volta non si entrava facilmente, occorreva vantare privilegi. Tante volte l’ho frequentata personalmente, poi successivamente ho aspettato i miei figli fuori, seduta al Bar Morin, in compagnia di altri genitori, inquieti dinanzi a quel presente che apparteneva già ai nostri ragazzi.

Ricordo un aneddoto che ancora mi fa sorridere. In una delle tante serate dedicate a Peppino Di Capri avevamo un tavolo prenotato vicino al palco. Talmente vicino che mancava poco che fossimo di fianco all’orchestra. Una mia amica, Daniela, proprietaria dell’Hotel California, mi propone di andare all’appuntamento a bordo della sua Vespa. Non ci ho pensato due volte e ho accettato. Mio marito, che cercava di capire dove avrebbe parcheggiato la sua auto in zona comoda per entrare in Capannina, si è messo le mani nei capelli pensandomi a bordo della due ruote. Ma poi vedendomi così felice ha addirittura sorriso.

Mi sono sentita trascinata indietro di un paio di decenni, è stata per me una festa grande, ancor prima di ascoltare tutta la notte il grande Peppino.

L’incontro con Battaglia

Forte dei Marmi è stata testimone di tanti momenti importanti della mia vita. Uno tra tutti risale ad una quindicina d’anni fa. Era una tiepida giornata di febbraio, dopo una passeggiata in riva al mare mi sono seduta su un pedalò rovesciato, ho tirato fuori dalla borsa il mio bloc-notes, la biro, e mi sono immersa nella trama del libro che avevo iniziato a scrivere.

Era il mio primo libro, prima ancora di sapere che ne avrei pubblicati diversi. Non c’era anima viva, quando mi sono riguardata intorno tirando su il naso dal foglio, che nel frattempo avevo interamente vergato.

Ho visto una figura che mi si avvicinava. Aveva un loden verde, la sciarpa, il passo sicuro nonostante affondasse i piedi nella sabbia, e un sorriso sornione: era Romano Battaglia. Non gli era sfuggito cosa stessi facendo. Mi ha emozionato incontrarlo. Mi è sembrato un segnale da cogliere.

Abbiamo chiacchierato a lungo, mi ha incoraggiata a seguire la strada della scrittura e anche a perdermi nelle emozione della stessa, raccontandomi alcune avventure diventate trame dei suoi libri.

Sono stata di parola, e non solo. Il mio primo libro, quello del bloc-notes e il pedalò, l’ho voluto presentare proprio a Forte dei Marmi. Ero certa che quell’incontro fortuito con Battaglia mi avrebbe portato fortuna.

‘Il mio Pippo Baudo’

Il direttore Roberto Alessi è stato il mio relatore. Roberto ha creduto in me, nonostante in quel momento come scrittrice fossi nessuno, e avrei anche potuto rimanere nessuno. Mi diverte chiamare Roberto il mio Pippo Baudo, mi ha scoperta lui.

L’incontro con Romano Battaglia ha segnato un momento di cambiamento della mia vita, ma ce ne sono stati altri che ricordo con particolare piacere, ad esempio quello con Giorgio Armani. All’epoca eravamo vicini di tenda, in spiaggia, con la famiglia dello stilista. Persone molto piacevoli, socievoli e generose.

Rita Levi Montalcini, per me un’icona assoluta di eccellenza. Una Pasqua al Tennis Italia con Andrea Bocelli. Diversi aneddoti con Luca Cordero di Montezemolo, legato a mio marito, Giorgio Navone, da una lunga conoscenza iniziata sugli spalti del Comunale di Torino. Naturalmente calcisticamente avversari, ma che poi la vita ha unito con una bella amicizia.

Le cene al Maitò, alla Barca, al Bistrò, le serate al Twiga, i pranzi ai bagni Annetta, i pomeriggi al Caffè della Versiliana, dove lo scorso anno ho assistito a una strepitosa rappresentazione della cara Sandra Milo.

Adesso non vedo l’ora che inizi la mia vacanza, nella mia Forte del cuore, rilassandomi ai bagni Beppe Ponente e gustando un’ottima cena al neonato Baretto, che da Milano è approdato in Versilia dove ad accogliere i clienti c’è l’immancabile Vincenzo.

a cura di Elena D’Ambrogio