Alla ricerca di… Marisa Laurito con Elena D’Ambrogio
La nostra Elena D’Ambrogio intervista Marisa Laurito, in libreria con ‘Una vita scapricciata’, e l’attrice si racconta a tutto tondo
“È lei, dunque, la signorina a cui volevano cambiare il naso? È così carino!”. Così Luciano De Crescenzo a Marisa Laurito. È il momento della presentazione, e a colui che diventerà un grandissimo amico ma che al momento per lei è solo un personaggio celebre da ammirare, Marisa risponde: “Effettivamente, mi hanno proposto un’operazione. Lo trovavano poco cinematografico”.
Quello del naso non è l’unico intervento che le era stato proposto. Marisa pizzica la erre, e questo le conferisce un tono chic, poco adatto al linguaggio popolare del teatro napoletano che le veniva proposto.
Pare che esista un rimedio chirurgico, ma per fortuna il caso non è stato approfondito, e la “erre moscia” è rimasta inalterata. Mentre leggevo il libro Una vita scapricciata (Rizzoli), mi sembrava di intervistare l’autrice attraverso il suo scritto. E così ho fatto la mia intervista “scapricciata”.
Intervista a Marisa Laurito
Marisa Laurito, la sua è una passeggiata di 70 anni, piena di energia. Non ha mai avuto dubbi sulla decisione di fare l’attrice?
“No, mai. Penso che sia il retaggio di una vita passata: mi piace pensare di essere stata una sciantosa che lottava per i diritti delle donne. Tutti i giochi che improvvisavo guardandomi allo specchio da bambina, immaginando applausi, ballando e cantando per far divertire e emozionare la platea, che ancora non c’era, non erano giochi, ma già l’idea di chi volevo essere”.
Almeno all’inizio, non è stato tutto facile, immagino.
“Tutt’altro! Ho fatto la fame, specialmente quando andavamo in tournée con piccole compagnie in teatri di provincia. Era il dopoguerra e ho imparato l’importanza del cibo. Il pane ha mille vite e, alla fine, tutto quello che non era più utilizzabile andava agli animali, ma di certo non avrebbe mai visto il secchio della spazzatura”.
Si definirebbe femminista?
“In un certo senso, con forza anch’io ho voluto e ottenuto nel 1970 la legge sul divorzio e nel 1978 quella sull’aborto. A quel tempo ci asserragliavamo nelle scuole per occuparle. È stato allora che presi una sbandata per un mio professore giovane e bello: Rolando mi aprì le porte dell’Antologia di Spoon River.
Solo baci, tra noi. A 19 anni credevo che fare l’amore semplicemente per amore mi avrebbe fatta sprofondare all’inferno. Poi ricordo Michele. Quando a teatro sulle note di E lévate ‘a cammesella… restavo col corpetto e mutandoni lunghi fino alle caviglie, mi disse: ‘Devi prendere una decisione, o me o il teatro’, Scelsi il teatro”.
L’arrivo del successo
Quando sono arrivati i ruoli più importanti?
“A Castel Volturno mi chiamò Tato Russo, famoso attore e regista napoletano a sostituire Rosa Fumetto, una vedette e pin-up che negli anni Settanta era artista di punta nel Crazy Horse di Parigi. Lo spettacolo si chiamava Café Chantant. Un cartellone fuori avvertiva il pubblico la signorina Laurito sostituisce Rosa Fumetto.
Appena si aprì il sipario e uscii io, fui bombardata da sedani, pomodori, lattine vuote. Prima mi nascosi dietro il sipario, poi quando finirono le munizioni tornai in scena e dissi: ‘Per favore, mi fate prima recitare. Poi se non vi è piaciuto continuate a buttarmi quello che volete’. Insomma, tutto finì bene”.
I partner che ha avuto nelle finzioni sono diventati suoi grandi amici.
“Ho recitato in teatro con Eduardo, con Gigi Proietti, con Celentano, con Luca De Filippo mentre altri attori sono stati solo amici, da Benigni a Mariagela Melato. E anche nel cinema, con i ‘bellissimi’, da Antonio Banderas in Tierra Nueva ad Alain Delon, sotto la regia dei più grandi registi, a cominciare da Sergio Corbucci, mio carissimo amico”.
Avanguardia o non avanguardia
Ha amato il teatro classico e dialettale o è stata attratta anche da altre esperienze?
“Lavoravo già da qualche anno nella compagnia di Eduardo quando venni attratta dal teatro d’avanguardia che si stava sperimentando in Europa. Una spinta verso l’evoluzione, pensavo. Nel 1974 mi scritturarono per una tournée estiva per una commedia tradizionale Mescafragesca che nelle mani di Santella diventò un insieme di fondali rotti, da cui si scorgeva un retropalco che cadeva a pezzi, i costumi erano di carta, le movenze di noi attori dovevano essere estremamente stilizzate, da marionette, poiché anche il trucco del volto esaltava in modo innaturale il rosso delle gote, quasi fossimo delle bambole”.
E come andò a finire?
“Purtroppo, ogni sera il teatro era sempre più vuoto, finché una volta c’erano più attori in scena che pubblico in sala. Poi accadde che Peppino De Filippo, che metteva in scena Le metamorfosi di un suonatore ambulante, mi chiamasse per la parte di Fragolina. Mentre facevamo le prove, una sera la TV trasmise lo spettacolo Mescafrangesca. Il giorno successivo entrò Peppino in teatro: ‘Signorina, vi piace il tetro d’avanguardia?’. E mentre meditavo la risposta: ‘Allora tornate a fare il teatro d’avanguardia’. Mi licenziò in tronco, e mi ritrovai senza lavoro”.
Il “dopo” De Filippo
Ma poi arrivò il primo ruolo importante?
“Si raccontava che il Bagaglino portasse fortuna, e che chiunque ci mettesse piede diventasse famoso. Negli anni Ottanta Pier Francesco Pingitore venne a vedermi in Café Chantant e mi offrì il ruolo di primadonna in questo bellissimo teatro storico. Ero al settimo cielo tanto che, quando De Laurentiis mi telefonò pensai a uno scherzo: ‘Pronto, è la signorina Laurito? Sono Luigi De Laurentiis’. ‘Sì. E io sono Sophia Loren’, e riattaccai. E questo due o tre volte, fino a che non mi convinsi che dall’altra parte del filo c’era davvero il grande produttore.
Ma questa è sempre stata una mia prerogativa. Nel 1987 trovai in segreteria telefonica una telefonata di Adriano Celentano che mi chiedeva di prendere parte al suo show del sabato sera. Credetti fosse un imitatore. Io in quel periodo andavo in diretta come Marisa la Nuit. Dopo una settimana, alla Rai di via Teulada Mario Maffucci mi fermò nel corridoio e mi disse: ‘Ma lo vuoi chiamare Celentano? È una settimana che aspetta una tua risposta’”.
Era già un’attrice conosciuta, ma ciò che la rese popolare furono gli spettacoli televisivi di Arbore.
“Con Quelli della notte mi incamminai senza saperlo verso la mia seconda carriera: la televisione, grazie a Enzo Arbore. Eravamo un gruppo affiatatissimo, con un minimo comun denominatore: il divertimento”.
L’era Arbore
Il vostro humor faceva tendenza.
“Quando fummo a Torino per uno spettacolo, Gianni Agnelli ci invitò a partecipare a una festa di beneficenza nella villa di Stupinigi. Ci trovavamo in quel gigantesco parco, in mezzo a luci brillanti e macchine milionarie, poggiati come la crème brulée sui funghi. Poi Gianni Agnelli ci invitò a pranzo a casa sua. Donna Marella impeccabile padrona di casa, io invece guardavo sempre Arbore per capire come comportarmi e lui, con gli occhi al cielo, mi segnalava quanto fossi goffa”.
Com’è il rapporto con Arbore?
“L’incontro fulminante con Renzo l’ho avuto a una festa in casa di Luciano De Crescenzo. A Renzo devo moltissimo: mi ha insegnato a volare nel meraviglioso mondo dell’improvvisazione, una sorprendente passeggiata nel mondo dei balocchi dove ho imparato a essere autrice di me stessa. I nostri rapporti, spudoratamente disinteressati e basati sull’amicizia più sincera, durarono a lungo. Amici e maestri: da Renzo ho imparato allegria e improvvisazione. Da Luciano umanità e bontà. Da Eduardo la disciplina e la sacralità del lavoro”.
a cura di Elena D’Ambrogio