Alla ricerca di… Vittorio Feltri con Elena D’Ambrogio
Vittorio Feltri si candida come capolista alle amministrative del Comune di Milano: ecco l’intervista della nostra Elena D’Ambrogio al grande giornalista
Vittorio Feltri scende in politica
Anche quando non sa, intuisce. Sto parlando di Vittorio Feltri, e poiché sarebbe superfluo presentarlo, passiamo al dunque. Se esistono due mestieri incompatibili fra loro, essi sono la politica e il giornalismo. O mi sbaglio? La butto lì al Direttore.
“Non ti sbagli. Nella mia lunga carriera ho avuto spesso delle richieste di partecipazione alle attività politiche. Ma mi sono sempre ritratto, perché non avevo voglia di fare un lavoro che non era il mio. Ho continuato a fare il giornalista senza pensare alla politica, perché la politica non è un lavoro. È qualcosa di diverso che, inoltre, rende anche poco. Ho sempre pensato che, avendo una famiglia da mantenere, dovessi procurarle mezzi di sostentamento. Cosa che sono sempre riuscito a fare”.
Ma poi è arrivata Giorgia Meloni.
“Nel caso della Meloni è diverso. Io intanto sono cresciuto anagraficamente, e lo dico a conferma che la verità non mi fa mai paura. Poi, visto che la mia situazione a Libero non è delle più felici in questo momento… Resto perplesso nel vedere i cambiamenti che si stanno operando, e resto convinto che la gratitudine non debba mai passare di moda. Allora ho pensato che un incarico da Consigliere Comunale non è una cosa che ti ammazza, né fisicamente né professionalmente.
Il Consiglio si riunisce un paio di volte alla settimana, quindi ci posso anche andare. Mentre, la proposta di candidarmi a sindaco di Milano sarebbe stata improponibile, un impegno serrato, mal pagato e suscettibile di parecchie grane giudiziarie. Ma soprattutto mi avrebbe impegnato tutto il giorno, impedendomi di esercitare la mia professione.
La proposta della Meloni, invece, mi ha fatto sentire più sollevato. Mi sono detto ‘ce la posso fare’. Fare il Consigliere Comunale non è che devi stare tutto il giorno lì, vai quando sei convocato e dici la tua. Quindi ho accettato, anche perché ho molta simpatia e stima per Giorgia Meloni. Abbiamo una sintonia totale che mi ha fatto dire di sì”.
Lo “spirito Feltri” al servizio di Milano
Sei una persona molto nota, anche per la tua personalità schietta. Quanto credi che questo possa essere un vantaggio per marcare la differenza?
“Vivo a Milano da 50 anni, so bene quali sono i suoi limiti e i suoi problemi, quindi sono pronto per affrontare temi basilari. In fondo fare il consigliere significa dare dei consigli. Lo farò e basta. Certo, a modo mio”.
Per esempio, hai già detto di voler ridurre le piste ciclabili.
“Se si riesce, certo. Sarà una delle battaglia, insieme a quella contro le zanzare a rotelle: i monopattini, usati selvaggiamente, senza casco, senza assicurazione, senza targa, e che creano parecchi incidenti. Se riuscirò li vorrei eliminare. Poi c’è un’altra cosa importante: Milano è una città buia, quindi di sera le donne hanno anche un po’ paura a uscire. Penso che una città come Milano debba essere anche di sera illuminata bene, in modo da offrire tranquillità”.
Parlando di sicurezza e di ordine, cosa facciamo per i clochard?
“È un tema che mi sta a cuore. Milano è piena di clochard, dormono all’addiaccio, mi fanno una pena estrema e non capisco perché non si riesca a trovare una giusta collocazione per loro. La civiltà di una città si arguisce anche da questi argomenti. Credo che eliminandoli dalla strada il livello civile aumenterebbe”.
Mi occupo anch’io del sociale, e non vedo l’impossibilità di dar loro dignità.
“Ci sono tante case popolari vuote o altre tipologie di edifici che potrebbero essere la giusta collocazione per questa gente”.
Nell’era “dopo-Covid”
Dopo la battuta d’arresto dovuta al Covid, che è anche stato un forzato momento di riflessione, cosa vorresti: il ritorno a quello che c’era o altro?
“Vedo che adesso sta succedendo qualcosa di peggio. Dopo il Covid c’è uno sfogo da parte soprattutto dei più giovani, ma non solo, che li porta a riversarsi per le strade a fare assembramenti pazzeschi, a fare movide scomposte e incontrollate, e poi risse giovanili che fanno abbastanza ribrezzo. Quindi il Covid non solo ci ha privato della libertà per molto tempo, ma nel momento in cui la libertà è stata restituita è successo un gran casino. Penso che lì si debba intervenire con l’ordine pubblico”.
Al ritorno alla libertà non si era più avvezzi. Un po’ di buona educazione servirebbe.
“Be’, il mondo ribelle c’è sempre stato. Una volta c’erano i teppisti, che arrivavano dalle periferie a fare baccano. Era riprovevole, ma si riusciva a contenere, mentre adesso è preoccupante che stia diventando una moda. La gente si scatena, ci sono degli eccessi. Non è che una volta si fosse migliori, ma adesso c’è esagerazione, intemperanza, comportamenti volgari, tali che fanno riflettere. Certo che l’educazione oggi fa acqua da tutte le parti, soprattutto negli adulti i cui effetti li vediamo nei giova ni. È molto difficile controllare le famiglie da cui tutto parte, sono più sfilacciate rispetto a una volta”.
Un problema sociale già esistente adesso si è amplificato.
“È un problema morale ed etico, la cui responsabilità sta appunto nelle famiglie. Dove ognuno pensa ai fatti propri: televisione, telefonino, non si parla, ognuno si fa i c*** suoi e i figli crescono senza dialogo, senza insegnamenti e senza educazione. E nella società si riflette questo aspetto”.
Come vorresti vedere la tua Milano.
“Ordinata, illuminata, controllata dalle forze dell’ordine. Vorrei che gli atteggiamenti negativi venissero repressi sul nascere, senza violenza. Però non è facile da organizzare tutto questo. Bisogna stringere i cordoni”.
Vittorio Feltri e Libero
Il tuo mondo a Libero, un pezzo di vita importante, è sempre vivo?
“Cambiano i mondi perché cambiano le persone, ma io non demordo. Però in generale i giornali cartacei ormai sono in difficoltà tutti per motivi mercantili, perché ora funzionano tantissimo i Social, che stanno rovinando la carta stampata. Ma questo è il nuovo mondo, che è giusto, ma che mi fa dispiacere. Inoltre, le risorse economiche si sono ridotte, e anche questo non agevola. Però non possiamo eliminare la tecnologia, ci dobbiamo adattare. Capisco che l’evoluzione sia questa.
Per tutta la vita ho fatto questo mestiere. Certo, l’ho fatto in tempi migliori e adesso che siamo al lumicino non mi fa piacere. Non capisco perché si facciano fuori i giornalisti bravi, mentre mantengono il posto fisso gli altri”.
Per te il grande amore per la notizia resta legato alla carta stampata?
“Per me è così. Sono nato giornalista, sono affezionato a questo e non riesco a immaginare niente di diverso. Però mi rendo conto che la realtà è un’altra. Diventa difficile fare dei giornali appetibili, perché anche i giornalisti si sono modificati. Nessuno si muove dalla sedia che occupa e dal computer da cui si fa ipnotizzare. Come si possono fare approfondimenti in questo modo? Non si verificano le notizie, non si va sul posto a controllare, non si indaga per raccontare. La cronaca nera che una volta era basilare oggi non esiste più, perché nessuno ha voglia di seguirla col piglio alla Buzzati. Questo ha portato a una decadenza anche qualitativa del nostro mestiere”.
Qual è il mestiere più redditizio?
“Quello del ricco. Però non ne detiene il dominio, anche perché oggi nessuno ha voglia di imparare un mestiere. È più comodo stare a casa con il reddito di cittadinanza”.
a cura di Elena D’Ambrogio