a cura di Leonardo D’Erasmo (avvocatoderasmo.it – @avvleonardo)

Nella società attuale, il tema delle molestie sessuali è sempre più ricorrente. E sono all’ordine del giorno i casi di persone che subiscono atti di questo tipo.

Proprio alla luce del moltiplicarsi di tali eventi, al tema viene rivolta particolare attenzione sia all’interno della comunità dei cittadini sia nell’ambito del diritto.

Ma esiste una definizione legale di molestia sessuale? In verità no. L’unica normativa che vi fa espresso riferimento è il D.lgs. n. 145/2005, che si occupa dei comportamenti attuati in ambito lavorativo.

Secondo questo documento, le molestie sessuali possono considerarsi discriminatorie qualora consistano in comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona che li riceve e di creare un clima intimidatorio, ostile, umiliante, degradante od offensivo.

Esse possono avvenire in qualunque luogo e momento, riguardano parimenti uomini e donne e possono essere di vario genere. Tanto che alcuni psicologi specializzati in comportamenti di questa natura hanno suddiviso le molestie sessuali in tre diverse tipologie.

Le tre forme di molestia

In particolare, nella forma della cosiddetta coercizione sessuale sono incluse le avances sessuali non direttamente fisiche e messe in atto tramite inganno, manipolazione e/o minaccia. Il molestatore, in questo caso, sfrutta la sua posizione di potere e supremazia per ottenere favori sessuali dalla vittima. Vittima che per parte sua si sente “in debito” nei suoi confronti e costretta ad accettare l’abuso.

Le attenzioni sessuali indesiderate, invece, sono quelle dichiarazioni di attrazione romantica o sessuale che risultano offensive per la vittima. Tra queste rientrano dimostrazioni di affetto fisico o anche continue richieste di appuntamenti o favori sessuali, messe in atto anche dopo il rifiuto esplicito dell’altra persona.

La discriminazione sessuale, infine, è considerata la forma di molestia più diffusa, e comprende una vasta gamma di comportamenti verbali e non verbali che non mirano necessariamente a ottenere un favore sessuale, bensì a insultare e denigrare una persona per il suo genere o per il suo orientamento sessuale.

È importante, infatti, osservare come le molestie sessuali non siano solo fisiche.

È indubbio che toccare o afferrare qualcuno con uno scopo sessuale oppure tentare un approccio fisico non ricambiato configuri molestia. Ma tale condotta è integrata anche attraverso molti altri comportamenti non fisici. Tra questi ci sono scherzi, allusioni e abusi verbali di natura sessuale.

Ad oggi è considerato molestia anche fissare con insistenza il corpo di una persona o prestarle un’attenzione eccessiva non voluta. Oppure fare battute sconce, o condividere storie di esperienze sessuali in modo continuativo. Inoltre, chiedere continuamente appuntamenti pur essendo stati rifiutati o anche solo scoraggiati, compiere gesti o utilizzare espressioni sessualmente offensive. Infine, anche utilizzare nomignoli come “tesoro”, “bellezza”, “bimba” o altri soprannomi fuori luogo.

Gli ‘atti sessuali’

Per quanto attiene poi a quei comportamenti fisici più espliciti la giurisprudenza, nelle pronunce emesse negli ultimi anni, è intervenuta sul tema ampliando notevolmente rispetto al passato la nozione di “atti sessuali”.

Sebbene questo approfondimento sia stato compiuto allo scopo specifico di definire i contenuti del reato di vera e propria violenza sessuale, previsto e punito all’art. 609 bis c.p., senz’altro la nozione può essere utile a comprendere anche il margine della “molestia” sessuale.

Paradigmatico è il cambio di indirizzo compiuto dal legislatore nel 1996 al fine di riformare la suddetta nozione di atto sessuale e consentire il venir meno di una visione più arcaica. Visione che riteneva tutelati dai reati contro gli abusi sessuali il bene giuridico della morale pubblica, fornendone un’accezione in senso collettivo e non personalistico.

Non era prevista, pertanto, una tutela diretta della sfera sessuale personale.

Con la suddetta riforma, il legislatore ha unificato all’interno del solo art. 609 bis c.p. il reato di violenza carnale e gli atti di libidine dapprima distinti, ponendoli così su uno stesso piano dal punto di vista della loro gravità.

Una riforma della visione arcaica

Il superamento della distinzione tra le due fattispecie si fonda proprio su un criterio di attenzione alla vittima, che ha raggiunto il suo apice con l’entrata in vigore del Codice Rosso (L. n. 69/2019), più volte richiamato nelle precedenti rubriche.

Questo ampliamento della nozione compiuto dal legislatore ha tuttavia comportato un deficit di determinatezza dal quale deriva un più esteso spazio interpretativo in capo ai giudici nazionali.

Con i suoi primi interventi, la Corte di Cassazione forniva un’interpretazione restrittiva della nozione, richiedendo per il configurarsi della violenza sessuale un necessario rapporto corpore corpori, rilevante da un punto di vista anatomico o fisiologico.

Questa interpretazione è ancora piuttosto prevalente. Tanto che recenti sentenze (sino al 2018) hanno confermato che devono ritenersi estranei alla nozione di atti sessuali tutti quei comportamenti che, pur essendo manifestazione di istinto sessuale, non si risolvano in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo o che, comunque, non coinvolgano la corporeità sessuale di quest’ultimo.

Da ciò ne consegue che, ad esempio, l’esibizionismo o il compimento di atti di masturbazione in presenza di terzi costretti ad assistervi senza che vi sia alcun contatto con i genitali o le zone erogene della persona presente non consentono di ritenere configurabile la violenza sessuale, quanto piuttosto il delitto di atti osceni o quelli di violenza privata, sempre che ne sussistano le condizioni.

Violenza, anche a distanza

Tale tesi, tuttavia, non è unanimemente condivisa. Non manca infatti chi sostiene che il reato di violenza sessuale possa essere commesso anche a distanza, a mezzo del telefono o di altre apparecchiature di comunicazione elettronica.

In tal senso si sostiene che l’elemento oggettivo del reato non richiede la contestualità spaziale tra i due soggetti. La minaccia, la violenza, l’abuso o le altre condizioni – previste dalla norma sopracitata – può infatti avvenire anche in luogo diverso da quello in cui il soggetto passivo la subisce. Ad essere essenziale è invece solamente che le stesse vengano da quest’ultimo percepite attraverso i suoi sensi.

E comunque, anche con riferimento al rapporto corporeo, pure la giurisprudenza prevalente ha precisato che esso non debba necessariamente limitarsi alle zone genitali. Tale rapporto può difatti comprendere anche quelle ritenute “erogene”, ossia tali da manifestare una forma di istinto sessuale.

Secondo la più recente – sebbene ancora non prevalente – giurisprudenza, dunque, nel concetto di atti sessuali rientra ogni atto coinvolgente la corporeità sessuale della persona offesa. L’atto deve però essere posto in essere nella consapevolezza di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente.

Vi rientrano in questi, pertanto, anche il bacio e l’abbraccio, nonché una semplice carezza, benché non indirizzati direttamente a zone erogene, laddove ne emerga comunque un’indebita compromissione della libera autodeterminazione della sessualità del soggetto passivo.

Il caso del palpeggiamento

Tra le condotte che un tempo risultavano più innocue e che ad oggi rientrano nella nozione di atti sessuali, spicca senz’altro il palpeggiamento delle natiche, laddove ne risulti evidente l’intenzione dell’autore di introdursi violentemente nella sfera sessuale della vittima, in modo contrastante rispetto alla volontà di quest’ultima.

Il caso del palpeggiamento ha avuto particolare rilevanza in tempi recenti. Questo in conseguenza del famoso caso di cronaca della giornalista sportiva palpeggiata in diretta TV da un tifoso. Questo, in seguito, è stato infatti condannato a un anno e mezzo di reclusione.

Alla luce di quanto esposto, per comprendere al meglio il confine tra un comportamento ingenuo e una molestia sessuale è importante fare riferimento al grado di compressione che la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo subisce in conseguenza di una determinata condotta. Tanto che alcuni comportamenti che potrebbero sembrare innocui non vengono nemmeno più ricompresi nei casi di minore gravità previsti dal comma 3 della norma che punisce la violenza sessuale, essendo necessaria una valutazione globale del fatto, che ponga al centro dell’attenzione la vittima.

Queste considerazioni sono fondamentali sia per capire a cosa si va incontro ponendo in essere comportamenti quantomeno fraintendibili, sia per rendere edotte le vittime di queste condotte della possibilità di denunciare l’atto subito, anche se in un primo momento può sembrare innocente.

Si consiglia pertanto, in questi casi, di concentrarsi piuttosto sull’offensività di talune condotte rispetto a quello che è il proprio pudore e la propria dignità da un punto di vista intimo e sessuale.