Avvocato di Difesa: quanto è lecito stare nudi (di Leonardo D’Erasmo)
L’avvocato Leonardo D’Erasmo ci parla della nudità maschile e femminile in estate: cosa e quanto è permesso dalle autorità a tutti i livelli
a cura di Leonardo D’Erasmo (Instagram: @avvleonardo – Sito ufficiale: avvocatoderasmo.it)
Estate e nudità
L’arrivo della stagione estiva rappresenta sempre motivo di malcontenti e dispute, soprattutto all’interno delle città di mare.
Con l’estate, infatti, arriva il tempo del mare, dei bikini ridotti, degli uomini che camminano per strada a petto nudo. Insomma, un periodo caratterizzato da maggiore nudità, che spesso porta i Comuni a mettere in atto strategie per far sì che i cittadini e i turisti non dimentichino che, anche nelle località balneari, deve prevalere comunque il decoro.
Già negli anni scorsi, in Comuni come Giulianova in Abruzzo e anche Sorrento in Campania, si sono firmate ordinanze che vietavano di circolare a torso nudo e in costume da bagno in tutti i luoghi pubblici, esercizi commerciali o mezzi pubblici.
Episodi del genere erano indicati come “un malcostume e comportamenti che vengono avvertiti dalla generalità delle persone come contrari al decoro e alla decenza” (cfr. ordinanza del Sindaco di Sorrento).
Il caso Gallipoli
Quest’anno, al centro delle notizie c’è invece il Comune di Gallipoli, che ha emesso un’ordinanza anti-nudità vientando, dal primo luglio fino al 20 settembre, di circolare in città a torso nudo o solo in costume da bagno. E prevedendo, per chiunque violi questo provvedimento, multe da 25 a 150 euro – che variano a seconda della gravità, del danno di immagine, nonché del luogo in cui non sia rispettata la normativa.
Contestualmente, il Sindaco interdice l’ingresso in locali e uffici comunali a persone con lo stesso vestiario succinto, nonché a coloro che indossino abbigliamento “poco decoroso” (come pantaloncini e canotta).
L’obiettivo dell’amministrazione comunale è – come premesso nell’ordinanza – “il conseguimento della tutela e del miglioramento della civile convivenza e della decorosa vivibilità degli spazi pubblici”. Quindi, la difesa della qualità della vita di residenti e ospiti.
Secondo il primo cittadino si tratterebbe di una norma di decoro, utile ad arginare il malcostume e i comportamenti che sono avvertiti dalla generalità dei consociati come contrari all’ordine, al decoro e alla decenza.
Tale vicenda fa sorgere domande circa la effettiva legittimità di comportamenti che, a quanto pare, infastidiscono alcune amministrazioni comunali.
In effetti, il vestiario succinto o provocatorio, come la nudità in pubblico, possono integrare l’illecito di “atti contrari alla pubblica decenza”, previsto dall’art. 527 c.p., che tuttavia non costituisce più reato, essendo stato depenalizzato a partire dall’anno 2016.
Allo stato attuale, trattandosi di semplice illecito amministrativo, la condotta di chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico o, ancora, esposto al pubblico, compie atti che possano considerarsi contrari alla pubblica decenza, è soggetto a una multa che parte da 5.000 euro e può arrivare a 10.000.
Quando si viola la ‘pubblica decenza’
È importante però chiarire cosa s’intende per “atti contrari alla pubblica decenza”.
Si tratta di quei comportamenti che ledono il normale sentimento di compostezza e buon costume, ingenerando negli altri fastidio e riprovazione.
Sono però condotte meno gravi rispetto ai veri e propri atti osceni. Solo che questi ultimi consistono in manifestazione di fatti e atti che sono attinenti alla sfera sessuale. I primi invece sono atti puramente sconci, turpi o maleducati.
Un nuovo senso del pudore
Il senso del pudore si è tuttavia evoluto nel corso del tempo. Infatti, ciò che anni fa era considerato disdicevole, a oggi viene comunemente tollerato.
Si pensi ad esempio alla minigonna o al topless, che oggi non arrecano più lo stesso stupore di un tempo.
La Cassazione ha anni fa prosciolto una prostituta per avere indossato, per adescare i suoi clienti, una ridottissima minigonna che lasciava intravedere i glutei e la biancheria intima. La Corte considerava infatti come, ai fini dell’illecito degli atti contrari al pudore, non fosse sufficiente indossare un abbigliamento trasgressivo e spinto per arrecare offesa alla pubblica decenza.
All’uso di tali forme di vestiario, invece, occorre che si accompagnino comportamenti idonei a offendere concretamente il senso di compostezza della collettività. In questo modo, nell’uomo medio si suscita un senso di riprovazione, disgusto, imbarazzo o disagio.
Nel caso di nudo integrale
Sicuramente, il nudo integrale può costituire l’illecito di atti contrari alla pubblica decenza. Ciò poiché così facendo si espongono al pubblico le parti del corpo attinenti alla sfera sessuale.
La stessa Cassazione ha affermato la punibilità della nudità integrale in una spiaggia pubblica, essendo la stessa idonea – nonostante l’evolversi del comune sentimento – a provocare turbamento nella comunità attuale, potendo essere tollerata solo in luoghi di nudisti, riservati quindi a soggetti consenzienti, ma non anche in luoghi aperti o esposti al pubblico, ove sia percepibile la nudità da tutti, anche i non consenzienti.
Va da sé che, essendo illecito solo la nudità integrale, non può senz’altro integrare lo stesso illecito la condotta di camminare per strada senza maglietta.
Non solo non è reato, ma non si integra in questo caso nemmeno un illecito di natura puramente amministrativa.
Uomo e donna senza maglietta
Resta fermo il fatto che, in determinate zone della città, come in prossimità di chiese, scuole o di centri storico-culturali, è potenzialmente possibile che sussistano specifici divieti stabiliti dal Sindaco. E, negli ultimi anni, a questi luoghi si sono aggiunte, nei Comuni con un’amministrazione comunale più severa, anche le strade di città, le piazze, e quei luoghi citati nelle ordinanze soprariportate.
Tuttavia, con il sopraggiungere delle alte temperature, è frequente incontrare per strada persone senza maglietta.
Si tratta, effettivamente, di un comportamento rischioso? È vietato dalla legge? Il petto maschile e quello femminile, per quanto le persone siano tutte uguali davanti alla legge, non sono sempre trattati allo stesso modo.
Infatti il petto femminile, dal momento che ha insita in sé la presenza del seno, che viene comunemente considerata zona erogena, ha sicuramente meno possibilità di essere esposto al pubblico.
D’altronde, questa differenza di trattamento è la stessa che regola anche condotte che possono considerarsi di violenza sessuale. Infatti, se qualcuno tocca il seno di una donna può essere accusato di violenza sessuale. Invece, toccare il petto di un uomo non comporta alcun tipo di sanzione penale.
Ma anche il semplice esercizio fisico, come la corsa o anche le passeggiate, fatto a petto nudo, non può considerarsi uguale per entrambi i sessi.
Tutto ciò potrebbe far pensare a una disparità di trattamento. L’uomo in effetti avrebbe maggiore libertà circa la sua possibilità di andare in giro a petto nudo, perché non ha il seno.
La verità, però, è che non esistono specifiche norme che regolano questo aspetto, se non la mera definizione di “zona erogena”.
Disparità di pena
Di conseguenza, se è una donna a girare per strada a petto nudo, essendo il topless ammesso solo sulle spiagge (sebbene per alcuni rimane anche in questo caso motivo di indignazione) la stessa commette un illecito.
Al contrario, un uomo che gira a torso nudo non integra un comportamento illecito, a meno che non sia stata emessa, dall’amministrazione, un’ordinanza specifica che vieti tale condotta.
Da ciò discende che, sebbene in generale il concetto di “zona erogena” dovrebbe forse rivedersi, o comunque dovrebbe opportunamente definirsi dal legislatore o dalla giurisprudenza, è consigliabile anche agli uomini, prima di spogliarsi, assicurarsi che non esistano normative, di competenza comunale, che vietino di girare senza maglia, come quest’anno nel caso di Gallipoli.
Le legge non può pretendere di regolamentare la vita privata dei singoli. Tuttavia può e deve pretendere che, nell’ambito dei rapporti sociali, sia mantenuta quella “pulizia” esteriore che costituisce il minimo etico atto a garantire la correttezza nei rapporti stessi.