La discussa eredità di Gina Lollobrigida

La spinosa questione relativa all’eredità dell’attrice italiana Gina Lollobrigida, scomparsa lo scorso 16 gennaio, fa sorgere senza dubbio curiosità circa la normativa italiana in materia successoria, e soprattutto su quanto la volontà del de cuius (il defunto) possa rilevare al momento dell’apertura della successione.

Come dichiarato dall’assistente della diva, Andrea Piazzolla, cui la stessa ha lasciato metà del suo patrimonio, e confermato dall’Avvocato della Lollobrigida, quest’ultima aveva avuto tensioni con il figlio Andrea Milko Skofic. Tuttavia, forse di fronte all’obbligo di osservare la normativa vigente, ma magari anche per amore di mamma, l’altra metà del patrimonio l’ha lasciata proprio al figlio.

In realtà, è bene precisare che la legge italiana in materia successoria tutela in primo luogo la libertà testamentaria del de cuius, accordandogli la possibilità di determinare, attraverso il testamento, la sorte del proprio patrimonio, per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

È possibile, infatti, rilevare ciò ponendo il nostro sguardo sul Codice civile. All’art. 457 si distinguono le due ipotesi di successione a causa di morte previste dal nostro ordinamento, ossia la successione legittima (per legge) e la successione testamentaria (per testamento). Il Codice mostra di preferire quest’ultima alla prima, atteso che la successione legittima opera soltanto quando manchino, in tutto o in parte, determinazioni del de cuius mediante testamento.

In questo modo, il nostro legislatore mostra di voler anzitutto proteggere le ultime volontà di ogni individuo, pur approntando uno strumento alternativo per il caso in cui non sia possibile definire il fenomeno successorio solo per mezzo del testamento, così da garantire che, dopo la morte di ogni soggetto, il suo patrimonio non resti privo di titolare e che i rapporti obbligatori, di cui l’individuo era parte durante la vita, proseguano anche successivamente alla sua morte.

Terza ipotesi di successione causa morte

La sorte del patrimonio ereditario, pertanto, è lasciata anzitutto alle decisioni discrezionali dello stesso ereditando, potendo lo stesso disporre dei propri beni mediante testamento.

Tuttavia, qualora al de cuius sopravvivano stretti congiunti (i figli, il coniuge e, quando non vi siano figli, gli ascendenti), il legislatore circoscrive la possibilità del testatore di trasferire i suoi lasciti ereditari mediante testamento, dal momento che riserva a favore di costoro una quota del patrimonio del defunto, variabile a seconda del numero e della qualità degli aventi diritto, e determinata tenendo conto altresì delle donazioni effettuate in vita dal de cuius.

La quota in parola viene definita dall’ordinamento come “legittima” o “quota indisponibile”. Dunque, la libertà testamentaria trova un limite invalicabile nella necessità di tutelare i diritti che la legge riserva ad una particolare categoria di
successibili, rappresentata dagli eredi legittimari, ossia persone legate al defunto da relazioni particolarmente qualificate, a cui è in ogni caso garantita una quota del patrimonio ereditario.

Si tratta, in buona sostanza, di una terza e ulteriore ipotesi di successione per causa di morte, che viene definita dal nostro ordinamento quale successione così detta necessaria.

I criteri di devoluzione dell’eredità, nella successione legittima, appaiono scelti in funzione della presumibile intensità dei vincoli di affetto intercorrenti tra il defunto ed i familiari superstiti.

Una parte va sempre ai figli

È chiaro che, pertanto, ai figli è riconosciuta una rilevanza peculiare e la quota ad essi riservata viene definita come “quota mobile”, atteso che è variabile alla luce del numero dei figli superstiti, oltre che dalla esistenza o meno di un coniuge tra i successori legittimari.

In particolare, quando manca del tutto un coniuge e qualora il genitore lasci un solo figlio, la riserva a favore di quest’ultimo è pari alla metà del patrimonio.

È proprio quest’ultima disposizione legislativa che ha limitato la libertà testamentaria dell’attrice italiana. Per scelta o per legge ha dovuto lasciare parte del patrimonio al figlio.

Occorre anche precisare, a questo punto, che il nostro ordinamento prevede anche degli istituti che, al ricorrere di talune condizioni, consentono di superare il suddetto limite.

Si tratta, anzitutto, della così detta indegnità, ossia della inidoneità del soggetto a subentrare nei rapporti che facevano capo al defunto, che si fonda sulla incompatibilità morale dell’erede a succedere, per essersi reso colpevole di atti gravemente pregiudizievoli verso il de cuius.

Le cause di indegnità sono, tuttavia, tassativamente indicate dal legislatore (atti contro la persona fisica o contro la personalità morale, atti diretti con violenza o dolo contro la libertà di testare e decadenza della responsabilità genitoriale) e devono necessariamente essere pronunciate da un giudice mediante sentenza. Tali caratteristiche rendono chiaramente complicato l’approccio a questo istituto.

Cosa s’intende per diseredazione?

All’istituto dell’indegnità a succedere si aggiunge quello della così detta diseredazione, ossia quella clausola testamentaria con cui il de cuius dichiari di non volere che, alla sua successione, abbia a partecipare un determinato soggetto che, in forza delle norme sulla successione legittima, avrebbe invece titolo a parteciparvi.

Tuttavia, sebbene la giurisprudenza italiana si sia di recente aperta alla possibilità di ammettere questo istituto, rimane comunque dubbio di potergli consentire di incidere addirittura sui diritti dei così detti riservatari.

Alla luce di quanto detto, è evidente come la libertà testamentaria, principio su cui si fonda – quantomeno sulla carta – l’intera materia successoria, sia in realtà clamorosamente impedita da talune imposizioni legislative difficilmente superabili.

a cura di Leonardo D’Erasmo