Belle da Vicino di Alessandro Gualdi: mai esagerare per non peggiorare
Quali sono i confini che nella medicina estetica non si dovrebbero mai superare? Ce ne parla l’esperto Alessandro Gualdi nella…
Quali sono i confini che nella medicina estetica non si dovrebbero mai superare? Ce ne parla l’esperto Alessandro Gualdi nella sua rubrica settimanale.
Ci ha colpito quello che ha detto la deputata Laura Ravetto a Radio 1 (la trasmissione era Un Giorno da Pecora):
“Durante il periodo del lockdown mi sono chiesta quale fosse una cosa che avrei sempre voluto, ma avevo paura di fare. E mi sono risposta che era un piccolo ritocco al seno. Sono passata da una deliziosa prima a una deliziosa seconda e mezza, direi”.
“Non a una terza taglia?”, le chiedono i conduttori:
“La seconda e mezza è un seno che non è affatto per ‘arrazzare’ gli uomini. Quando sono vestita non si percepisce nulla, ma in costume si vede”.
Una dichiarazione semplice, che però ha tre concetti a me molto cari: l’abolizione della vergogna, la motivazione personale e il senso della misura.
Per piacere senza vergogna
Perché nessuna donna ha pudore a parlare della tinta dei capelli, o del trucco che mette sul volto, ma guai a parlare del suo seno rifatto? Non sono tutti interventi per correggere difetti estetici? Forse ci si vergogna della mastoplastica perché è un intervento più invasivo della tinta? Non credo.
E dunque viva le donne che ne parlano liberamente, senza pudori inutili e, soprattutto (qui arriva il secondo punto che m’interessa), dichiarano la migliore motivazione per affrontare un intervento di chirurgia estetica: per se stesse. Non per “arrazzare” gli uomini, come dice la Ravetto, ma per piacersi di più.
La misura delle cose
Il terzo tema tra le righe è quello che più mi è caro: il richiamo alla misura. Una prima misura portata a una seconda e mezza è la scelta di chi non vuole stupire con effetti speciali stile bambolona americana (ma ce ne sono anche in Italia…), ma è consapeole che il proprio corpo ha un equilibrio, e che la sua bellezza dipende dalle proporzioni che si vanno a creare.
I limiti del gioco
Quando una paziente viene in studio con il desiderio di ritoccare il suo seno, per prima cosa si stabiliscono i limiti entro cui ci si può muovere, quanto ci si può spingere nell’aumentare il volume, quanto si può giocare con le forme senza rischiare il grottesco.
L’anatomia della paziente definisce questi limiti. L’inserzione tra il muscolo pettorale e lo sterno è la linea di confine che non si può superare nella parte mediale. Se inserisco protesi in sacche create nel petto della paziente che superano questa linea, il rischio è quello di ritrovarmi un enorme monoseno con la linea divisoria poco definita (tecnicamente si chiama simmastia).
Dall’altra parte, la linea ascellare media guida la scelta delle dimensioni del seno: se si esagera si ha un seno che deborda lateralmente, e che quindi interferisce con il movimento del braccio in avanti.
Nella scelta della dimensione delle protesi interviene un altro fattore anatomico fondamentale: la posizione del capezzolo deve rimanere naturale, centrale. L’ideale è a 5-7 cm di distanza dal solco mammario.
All’interno di questi confini si gioca la partita di un bel seno, naturale o rifatto che sia, e se è rifatto bene, non si distingue da uno naturale.
Niente fenomeni da circo
Poi subentra il gusto personale. Si può scegliere di avere un seno più a palloncino o più dritto, più pieno o più svuotato, ma gli eccessi sono sempre da evitare. Non fanno bene al corpo, perché sovraccaricano la struttura muscolo-scheletrica, e non fanno bene neanche alla bellezza, perché basta poco a scivolare dalla femmina bombastica alla donna tettuta del circo.