Carlo Guidetti: la poesia della luce nella fotografia
Le opere di Carlo Guidetti immortalano i soggetti artistici e giocano con la luce, creando una danza tra questa e l’ombra
Fotografo, nonché ingegnere di professione, Carlo Guidetti nasce a Modena nel 1949. La sua carriera è costellata di successi sia in ambito nazionale, con la partecipazione alla 56ª Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia nel Padiglione Guatemala, sia all’estero – dall’America alla Turchia fino in Giappone. Traghettato dal “desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare”, la sua produzione espone la realtà come conduttrice irrefrenabile di moti nascosti.
L’indagine dell’artista percorre sentieri plurimi, viene condotta nell’alveo del figurativo per approdare all’Informale e successivamente a un più marcato astrattismo.
Maestro della luce
Maestro della vitalità della luce, la sua vena lirica attua un’introspezione romantica dei paesaggi.
Non colti frontalmente né connotati da sterile realismo, gli scenari sono tramutati in riflessi, si dislocano nel mondo increspato degli acquei specchi, ondivaghi navigatori di sfuggenti suoli.
Si nota una graduale e crescente smaterializzazione delle forme fenomeniche, a tal punto da risolversi, queste, nella non-figurazione.
Pari a certi ritratti con le luci del rinomato Gjon Mili, le composizioni di Carlo Guidetti ne riprendono la danza e l’intento documentaristico. Eppure, al contempo attuano una più marcata osservazione della luce la quale, differenziandosi dal Maestro albanese, diviene l’unico soggetto privilegiato.
Private della presenza umana a guidarle, le saettanti onde elettromagnetiche, indagate con minuzia quasi ingegneristica, divengono l’elemento strutturale di un’orchestrazione quasi ipnotica dove le gradazioni ritmano fondali monocromatici di pura linearità.
Scrivente dell’ineluttabile scorrere del tempo, il Nostro attinge dunque alla fotografia incentrata sulla ripresa dei soggetti in moto, elevando il fluorescente sfavillio a universale messaggero di significato.
Le opere dell’artista
Concepiti negli ultimi anni sono gli scatti ripresi dagli spettacoli dei fuochi d’artificio. Lingue infuocate è esemplare di questa serie.
L’opera, al pari di una pellicola negativa, inverte i colori dello spettacolo pirotecnico offrendo un’interpretazione straniante. Su un pannello di lamiera in alluminio, erompe brillante con i pennacchi che traboccano la loro sgargiante dinamicità.
Altri lavori dipingono i lapilli della sfrigolante deflagrazione, che si dispongono a raggiera. Come stelle cadenti che eruttano nel firmamento.
In comunanza con gli intenti dello storico fotografo Laszlo Moholy-Nagy durante il suo soggiorno a Chicago negli anni Trenta e Quaranta, le opere dei due colleghi – lungi nel tempo ma non nello spirito – colgono l’incontenibile danza desunta dalla lotta tra ombra e luce, dove la traiettoria delle particelle luminose rimanda all’intrinseca bellezza celata allo sguardo.
I tracciati generano un linguaggio segnico misterico, la cui propagazione viene donata a noi, inconsapevoli spettatori delle movenze che risiedono dietro le superficiali manifestazioni della vita quotidiana.
a cura di Stefania Pieralice