A volte la vita ti fa fare incontri che poi sviluppano altre scoperte più che interessanti. Ed è successo con Leonardo D’Erasmo, avvocato di fama, perfino televisiva, con studi a Milano e a Roma. Una conoscenza partita in televisione, ospite sia io e sia lui da Barbara d’Urso per un caso di cronaca, che vedeva coinvolto un minore, e lui difendeva la famiglia di quel bambino.

Poi, parlando con lui, ho scoperto che come avvocato e imprenditore (perché è pure imprenditore) si occupa di cliniche di medicina estetica e chirurgia. E lì, dato che a volte, solo a volte – perché nel settore ci sono medici estetici e chirurghi plastici strepitosi (alcuni di questi scrivono pure su Novella 2000) – ho pensato a questa intervista per chiarirmi su tanti temi. Temi anche legali, perché in questo settore, quello dell’estetica, è necessario capire fino a che punto ci si può tutelare se le promesse non vengono mantenute dai risultati.

Cellin Beauty Clinic è il nome delle sue cliniche.

Intervista a Leonardo D’Erasmo

Approfitto quindi del ruolo di legale, conoscitore delle leggi, e anche di imprenditore di cliniche di Leonardo D’Erasmo, per porgli una domanda che molto spesso faccio e a cui nessuno mi risponde a dovere.

Ci sono persone che soffrono di dismorfofobia – ripeto dismorfofobia -, una parola da imparare tutti. Una percezione alterata della propria immagine corporea, leggo sul Web, secondo cui l’ossessione per un difetto, inesistente o minimo, domina la vita della persona. E queste preoccupazioni spesso diventano incontrollabili, portando a passare molte ore della giornata a rimuginare sul difetto fisico.

Queste persone, isterizzate, poi vanno da medici che anziché indirizzarle da uno psicologo o uno psichiatra iniziano a togliere quel difetto, e a fatturare su quel difetto.

Avvocato, mi dica: si può lucrare su una patologia?

“Mai! Proprio su questo tema ho parlato recentemente da Barbara d’Urso, e si parlava proprio della dismorfofobia. Ricordo che quando ero ragazzo mi allenavo in palestra con ragazzi con un bel corpo, ben formati, ma che, nonostante risultati ottimi sul fronte della forma fisica, si vedevano comunque senza massa, senza muscoli, insoddisfatti. Alcuni di loro sarebbero ricorsi a integratori, o peggio, prodotti dannosissimi. La dismorfofobia coinvolge moltissimo la medicina e la chiurugia estetica: ci sono persone che non si fermano, che non ne hanno mai abbastanza”.

Il diritto non tutela queste persone? E non si possono fermare certi medici estetici che non guardano al bene del paziente ma a fare cassa su quel paziente?

“La libertà e la libera disposizione del proprio corpo è garantita dalla Costituzione. Finché una persona non si fa del male e arriva all’autolesionismo, può tutto”.

Ma certe persone si fanno del male, e dopo certi limiti vengono pure rifiutati nel sociale. Un caso su tutti? Mickey Rourke, uomo bellissimo, affascinante, ma che poi s’è rovinato. Anche se, ora, tutto il mondo lo ama ancora.

Bisogna comprendere quando si arriva alla patologia, quando viene accertata la dismorfofobia. Quando la persona, il paziente, non è più in grado di autodeterminarsi?

“Mi ha tolto le parole di bocca. In quel caso avrebbe bisogno di un amministratore di sostegno”.

Due parole spaventose: decidere – e lo decide un magistrato – che una persona non può più essere regista della sua vita, ma, per legge, la sua vita viene data ad altri che decidono per lei. Un orrore.

“La cosa a quel punto potrebbe risolversi senza impelagarsi in guerre giudiziarie con il consenso del medico”.

Nella speranza di trovare un medico di buon senso… Ma è di buon senso aiutare una ragazza a farsi un’ottava di seno, passando da una terza naturale, solo per soddisfare un’idea che nulla ha di naturale e quindi anche di salutare?

“Fortunatamente, nelle mie cliniche non facciamo chirurgia radicale. Si parla soprattutto di interventi estetici, di rimodellamento, di glutei, pancia e di trapianti di capelli. Quando si parla di protesi, lifting, le responsabilità del medico e del centro sono ben più estese.

Ma vorrei ricordare che in America, come in altre cliniche specializzate, proprio per tutelarsi, c’è un incontro protocollare con uno psicologo, che si prende pure la responsabilità di siglare una diagnosi per capire se dietro certe richieste si celi una patologia come la dismorfofobia. E lì ci vogliono medici seri, perché non sempre l’etica combacia con l’estetica”.

Il fatto è che a volte il paziente viene visto solo come un cliente.

“Esatto. Ma a volte il contrario diventa perfino più interessante per una struttura medica. Perché se un paziente viene rifiutato, anche se in un primo momento può essere vissuto come un ‘mancato guadagno’ – parola orrenda, ma reale – nel lungo periodo è una scelta intelligente: dire di no quando si deve dire di no è un ottimo investimento.

Fare cassa è una scelta molto dannosa per la cassa, perché porterà inevitabilmente un paziente insoddisfatto, che non parlerà bene dello studio. Non tutti sono adatti a certi interventi, come nel caso del trapianto di capelli. Il paziente contento è quel paziente che ti porterà molti altri pazienti, ed è lì la partenza del successo di uno studio medico”.

Tradotto, è un danno per un professionista portare a casa tutto quello che ti si offre in studio.

“È così. Il passaparola positivo è tutto, il contrario è la fine di tutto. Soddisfare le aspettative del paziente è alla base di una reciproca gratificazione”.

Ho una marea di amici che si sono fatti il trapianto. Eppure, dopo aver molto sofferto, oggi sono di nuovo calvi come un uovo, arrabbiati come pochi.

“Ora c’è un nuovo intervento, la DHI. Questo tipo di intervento, rispetto a quelli precedenti, è un impianto diretto, estrazione e implantologia. Immediato, veloce, molti vantaggi, senza diradare i capelli nella zona donatrice.

Non solo: in questi casi non cambia l’immagine da subito, magari con un parrucchiere professionista in clinica prima dell’intervento, per passaggi meno traumatici. Andare incontro a un paziente è alla base, ed è imprescindibile. Se il medico non ti viene incontro, non ti considera, lascialo perdere. Sempre”.