Osvalda Pucci: la cosmologia interiore
L’artista Osvalda Pucci non rappresenta gli elementi naturali, ma li invoca come ambienti primordiali, spazi liberi dalla quotidianità umana
Osvalda Pucci nasce a Siena per formarsi artisticamente sotto la guida di Plinio Tammaro e Teobaldo da Vinci. Lunga è la sua carriera, costellata di mostre personali (di cui una che le valse la recensione di Umberto Eco) e collettive, di premi conseguiti in Italia e all’estero.
Tra Cielo e Mare (opera in foto) fluidi eterei, atmosferici, si incontrano sulla tela per toccarsi fino a fondere le proprie consistenze specifiche ma affini. Tra Cielo e Mare, il percorso che ne risulta può essere solo che flessibile, un equilibrio delicato e da conquistare, sviluppando una dialettica che non avrà mai la perentorietà della dichiarazione, ma la sensibilità dell’evocazione.
L’opera appena citata permette di addentrarsi nella ricerca pittorica di Osvalda Pucci. Di ciò che la circonda, l’artista può cogliere un frammento. Quest’ultimo non viene rigidamente congelato, ma in esso “soffia” – per prendere in prestito il titolo di un altro quadro – un afflato emozionale da cui è scaturita la creazione, che ne alimenta inesorabile un’esistenza ormai fuori dal tempo.
Il passaggio successivo è far dissolvere il riferimento figurativo nell’energia che lo pervade, fino a lasciare completamente il posto ai rapporti tra l’uomo e il mondo circostante. Rapporti da cui scaturiscono le accelerazioni e distensioni dei vortici vitali.
Il deserto, il ghiacciaio oppure il canyon non vengono più a imporre la loro consistenza fisica. Pucci non intende rappresentarli, ma invocarli come ambienti primordiali. Spazi liberi dalla quotidianità umana, come la tela repertorio di accordi musicali tra interiorità ed esteriorità, le quali si alternano nel susseguirsi delle pennellate.
Per tale motivo il percorso della Pucci solca sempre luoghi liminali, momenti esistenziali il cui carattere metamorfico trapassa da reale ad artistico, cioè divenendo gradazione cromatica. I toni raggiungono squilli vibranti e solari, movimenti delicati quanto perenni, flutti che avviluppano lo sguardo.
La sperimentazione tecnica è strumentale al fine poetico, conducendo la Pucci a ritrovare in chiave moderna e personale una tecnica del Quattrocento, l’olio a colore spanto.
Dal corpus delle opere devono esserne isolate alcune in cui la tavolozza si riduce a una monocromia chiara, di ampi tocchi di bianco sul grigio. L’emozione viene sublimata in una gestualità pittorica che diviene protagonista assoluta.
Il colore non si attiene con continuità al riferimento oggettuale, che anche nel titolo può permanere, ma al contempo non sembra trovare nella deformazione del reale una condizione necessaria e sufficiente.
Il fine è sempre un accordo spirituale, che in ogni intuizione, concetto da esprimere, contesto personale, trova nel farsi della pittura ciò di cui ha bisogno volta per volta.
a cura di Giacomo Tiscione