Roberto Alessi ricorda Catherine Spaak, la diva che non chiese di esserlo
Il ricordo di Catherine Spaak attraverso la testimonianza del direttore di Novella 2000 Roberto Alessi: dagli esordi nel cinema fino alla morte
Il ricordo di Catherine Spaak
“In questi giorni stanno dicendo cose non tutte vere, alcune raccontate da lei, ma la verità era molto meno drammatica, dal collegio, al rapporto con i nostri genitori. In ogni caso vorrei sottolineare che mia sorella Catherine era una persona di grande spessore, anche con dualismo non sempre facile. Abbiamo avuto anche noi le nostre, ma ci siamo molto amate”. Così mi dice al telefono Agnes Spaak, sorella di Catherine scomparsa proprio il giorno di Pasqua, a 77 anni.
“Aveva avuto un’emorragia cerebrale un paio d’anni fa. Si era ripresa, ma poi ne sono seguite altre, l’ultima il 25 luglio e da allora non si è più ripresa”, mi spiega Agnes, con la quale ho lavorato per dieci anni alla Rusconi Editore. Lei ottima fotografa di moda, io alla cronaca.
Poi io e Agnes ci siamo persi, e andando in Rai avevo conosciuto Catherine Spaak in diverse trasmissioni come La Vita in Diretta, e siamo diventati amici. Quando mi hanno affidato Visto, circa dieci anni fa, ora allegato di Novella 2000, le avevo offerto una rubrica che ebbe un forte successo, salvo poi interrompersi per motivi indipendenti da noi. Ma si era creata una frattura, e me ne sono dispiaciuto. Fu però una decisione solo sua, forse dettata da un’ossessione quasi maniacale della correttezza, che a volte fa a pugni con la pratica.
L’infanzia in collegio
Sì, Catherine era dura, apparentemente algida. Ma lo era soprattutto con se stessa, forse perché non aveva avuto una vita facile, o meglio semplice. A nove anni i suoi (secondo me, dopo averne parlato con lei molto, per rendersi la vita più facile e libera, perché allora usava così) l’avevano messa in collegio con Agnes, e per molto tempo per lei quel collegio era come una punizione ingiusta. Non per Agnes, di un carattere più solare, leggero, accomodante.
Poi erano arrivate a Roma, e a 15 anni Catherine, che era figlia di uno sceneggiatore e di un’ex attrice, aveva fatto il primo film con il regista Lattuada. Nacque il suo personaggio di ragazza libera, d’Oltralpe, minigonna e scarpe basse, niente trucco e sciampo fatto in casa.
Trasmetteva la voglia di vivere e di libertà dei giovani anni Sessanta, come tante, ma insieme lei ci metteva anche uno spessore culturale che scaturiva da una famiglia importantissima.
La famiglia belga
“La mia nonna paterna è stata la prima donna senatore in Belgio, e suo figlio Paul Henry, mio zio, divenne primo ministro molte volte”, mi diceva. Mentre sua zia era Suzanne Spaak, che è stata una partigiana, riconosciuta giusta tra le nazioni per l’impegno da lei dimostrato nel salvare centinaia di giovani ebrei durante l’Olocausto, e uccisa per questo dai nazisti, assassinata pochi giorni prima della liberazione di Parigi.
Fu Heinz Pannwitz, soprannominato il Boia di Praga, che la uccise in cella.
Una famiglia mito come la sua la si intravvedeva nelle sue fattezze, nel suo modo delicato, che traspariva nonostante una timidezza molto forte. Non reggeva nemmeno i complimenti – a volte un po’ goliardici – degli uomini, compresi certi colleghi famosi che poi le chiesero scusa per averla offesa.
I mariti
In quegli anni conobbe l’attore Fabrizio Capucci, rimase incinta, si sposò e, sbagliando, andò a vivere a casa della famiglia di lui. Un errore. “Ero ospite a casa Capucci, con i miei cognati Marcella e Roberto, già affermato stilista. Ma non mi sono mai sentita a mio agio, e me ne andai con la bambina”.
La denunciarono, venne quindi arrestata. “Così mi riportarono a Roma con mia figlia, per tutto il viaggio in braccio a un carabiniere”. E da allora il rapporto con la figlia Sabrina fu difficilissimo e doloroso.
Spero ora che la figlia abbia capito sua madre, che non era quella mamma cattiva e che non l’aveva abbandonata.
Poi incontro sul set TV di La vedova allegra con Johnny Dorelli, secondo marito, e arrivò Gabriele, che ora sta con una collega di Catherine Spaak, Antonia Liskova. Lei era molto orgogliosa del figlio, credo produttore e regista di talento.
Talento, questa la parola chiave con tutte le persone con cui lei ha lavorato, da Vittorio Gassman, immenso e generoso con lei, a Marcello Mastroianni (“Con lui mi sono trovata molto bene. Un uomo dolce, comprensivo, gentile”, ricordava) a Gino Paoli, che aveva scritto per lei le sue prime canzoni (con la direzione di Ennio Moricone), e pare che lui si fosse un po’ innamorato.
Il terzo matrimonio con Vladimiro
Poi era arrivato un terzo marito, che l’aveva fatta molto soffrire – mi diceva. Un architetto, di cui non parlava volentieri. Un giorno mi raccontò che si era innamorata di nuovo: “Lui era un comandante di navi e con un nome particolare: Vladimiro”. Qualche tempo dopo si era arresa e si era risposata: “In Sicilia, niente foto, niente di niente, nemmeno gli invitati, solo i testimoni”. Assurdo per me, ma vero.
Vladimiro aveva 18 anni di meno, e lei lo seppe quando stavano insieme. “Ma è talmente riservato che mai finirà sui giornali”.
Non so come mai, ma quando nel 2020 lei ha avuto la prima emorragia, si separarono. Credo per una scelta di lei. Ma lui le è sempre stato vicino: “Fino all’ultimo”, mi conferma sua sorella Agnes. “È stato generoso, delicato e affettuoso fino alla fine”.
Si è spenta poco alla volta, ormai era entrata in coma. Agnes le è stata vicina sempre. “Se n’è andata, ma ha fatto in tempo a dire le sue ultime volontà”, mi dice, “dal funerale in forma più che privata, alla cremazione”.
Ancora una volta la timidezza della donna aveva avuto il sopravvento, sulla diva che non aveva mai chiesto di essere.
a cura di Roberto Alessi