A Scuola di Seduzione con Barbara Fabbroni: intervista a Umberto Smaila
Umberto Smaila si racconta in un’intervista rilasciata alla psicologa Barbara Fabbroni per la rubrica Scuola di Seduzione su Novella 2000:…
Umberto Smaila si racconta in un’intervista rilasciata alla psicologa Barbara Fabbroni per la rubrica Scuola di Seduzione su Novella 2000: dai celebri Gatti ai locali Smaila’s.
“Sai che a ottobre mio figlio Rudy mi farà diventare nonno per la prima volta“. È emozionato Umberto Smaila, sta per portare a segno l’ennesimo traguardo. Lui che, 70 anni compiuti il 26 giugno, di traguardi personali e professionali ne ha raggiunti tanti. Una vita vissuta appieno, carriera densa che, di volta in volta, si è rinnovata portando successi ricchi di significato.
Veronese di nascita, ha realizzato il suo sogno: entrare nel mondo dello spettacolo. Inizia con I Gatti di Vicolo Miracoli, poi arriva Colpo Grosso. Da lì, una carriera solo in ascesa.
Non è solo conduttore, ma anche attore, compositore, musicista e grande imprenditore. Il suo marchio Smaila’s vanta molti locali di successo sparsi in Italia e all’estero.
Gli parlo mentre è in montagna con la sua seconda moglie (Fanny Minati, sposata nel 2008), dieci anni più giovane di lui, con cui ha avuto i figli Greta (18 anni appena compiuti) e Roy (21 anni). Con loro c’è il cane Whisky che li segue in ogni spostamento. Con la prima moglie Patrizia Frassini sono nati invece Giorgia e Rudy. Quest’ultimo ha seguito le orme del padre, ed è lui che lo renderà nonno.
Umberto, secondo te quanto il lockdown ha cambiato la modalità di stare in relazione con l’altro, di divertirsi e di vivere?
“È una situazione romanzesca. Sembra di aver vissuto in un incubo. Siamo stati costretti a star chiusi per tre mesi in casa, a non avere rapporti umani, a cambiare le nostre abitudini. Molte cose sono cambiate, c’è voglia di tornare alla normalità”.
Il ritorno in pista dopo la quarantena
Il modo di divertirsi degli anni ’80 è diverso da quello attuale?
“No, assolutamente no! Ho fatto la mia prima serata a Milano. Ho avuto la sensazione che il tempo si fosse fermato. La gente si divertiva come prima, ovviamente aveva l’atteggiamento un po’ più composto. Ci sono regole da seguire, per cui non si facevano trenini o balli dove si sta molto vicini. Le signore che frequentano il ‘Parioli’ di Milano, locale molto trendy, avevano la stessa voglia di divertirsi di qualche mese prima.
Questo per dirti: ci si diverte sempre allo stesso modo. Noi italiani siamo un popolo di emotivi, abbiamo voglia di cantare, di divertirci. Certo, bisogna dare il ‘la’ alle persone, dobbiamo trascinarle, motivarle, e io vengo chiamato per dare questo famoso ‘la’. Non è cambiato molto dagli anni ’80. Adesso, dopo il lockdown, c’è persino più voglia di divertirsi, di tornare alla normalità”.
Tu ti diverti facendo divertire gli altri oppure è solo lavoro?
“Se io non mi divertissi non potrei trasmettere divertimento. È una formula che vale per tutti gli artisti. Penso che anche il maestro Riccardo Muti, quando dirige la sua orchestra, si diverta. Altrimenti non potrebbe coinvolgere il suo pubblico. Non trasmetterebbe alcuna sensazione se non fosse il primo a provarla. Tuttavia, c’è di mezzo l’emozione, la fatica e quant’altro. Ma la catarsi è fondamentale: è quello che mi fa sostenere una vita molto spesso faticosa, fatta di spostamenti continui. Il successo di questi ultimi venticinque anni è dovuto alla mia formula: la gente sente e capisce che a me piace”.
Tutti i segreti della “formula Smaila”
Come nasce la tua formula?
“È nata un po’ per caso. Sono uno strumentista, un compositore, suono il pianoforte sin da bambino. Ho composto molta musica sia per i cantanti sia per il cinema, ho fatto più di trenta film. A un certo punto mi sono ritrovato ad avere un repertorio molto vasto di canzoni.
Le facevo a Colpo Grosso, poi per i miei amici in occasioni saltuarie. Avevano un successo pazzesco, allora mi sono detto: perché non lo faccio in uno spettacolo? La cosa ha iniziato a funzionare bene, ed ecco che, da lì, a macchia d’olio, si è espansa. Sono arrivato a fare più di duecentocinquanta serate all’anno. Ora le cose sono un po’ cambiate, anche se questo resta il mio mestiere”.
Quanto ti ha aiutato l’esperienza fatta con i Gatti di Vicolo Miracoli?
“Dentro a queste mie performance c’è anche tutto il mio passato di cabarettista e attore, di funambolo. Viene fuori un misto di stili. Soprattutto è il coinvolgimento la chiave. Coinvolgere la gente, farla sentire protagonista”.
Quindi il tuo segreto è far diventare protagonista lo spettatore.
“Esatto! Ho trasmesso questa mia passione a mio figlio Rudy, che continua la mia strada. Qualche volta suoniamo assieme, spesso va da solo. Ha suonato al Twiga di Forte dei Marmi, è stato un bel successo. Mi ha chiamato, mi ha detto: ‘Papà ho spaccato tutto’. Mi ha mandato la foto con la Gregoraci. Ho trasmesso a mio figlio la mia arte di coinvolgere, di non essere solo un cantante ma un intrattenitore, uno showman. Sono orgoglioso”.
Famiglia e passato
Hai una vita sempre con la valigia: la tua famiglia come si è integrata col tuo lavoro?
“Mia moglie e i miei due figli più piccoli comprendono e capiscono, c’è armonia. I ragazzi stanno crescendo, hanno i loro interessi”.
Progetti nuovi?
“Sarò in Calabria per l’inaugurazione di un nuovo Smaila’s al Blanca Beach di Tropea”.
Un aneddoto al tempo dei Gatti di Vicolo Miracoli?
“Ne ho tantissimi. È stato tutto un aneddoto. Una cosa molto simpatica riguarda le tournée. Dovevamo andare in giro con un’auto e si caricava tutto lì: strumenti, un riflettore, bagagli e cinque persone. Qualche volta mettevamo il contrabbasso sul tetto legato con una corda. Avevamo assunto un tecnico delle luci che doveva farci anche da autista: Diego Abatantuono.
Lui era il nostro autista e tecnico luci, doveva solo accendere e spegnere il riflettore, ovvero buio o luce, nulla di più. Aveva sempre il solito blazer blu. Diciamocelo: andavamo a lavorare, ma cercavamo anche di divertirci e cuccare qualche ragazza. Il problema era che lui doveva fare l’autista, ma non aveva la patente. Ha fatto passare cinque anni prima di prenderla. Nel frattempo, in attesa che la prendesse, guidavo sempre io. Ogni volta rinviava».
Una serata indimenticabile?
“Tutte lo erano per me”.
a cura di Barbara Fabbroni