A proposito di come rimorchiare, ci sarebbe una famosa teoria dell’Innominato, secondo la quale gli uomini si distinguono allo stesso modo di come si differenziano i volatili: ci sono i passerotti e le aquile. I passerotti volano quasi sempre in stuoli, intimoriti e indifesi!

Avete mai visto un’aquila reale volare assieme ai suoi simili? Mai! L’aquila reale volteggia il cielo solitaria, avvista la preda e va in picchiata. Semmai poi rimarrà qualche avanzo, sarà per i passerotti…

A riguardo giova rammentare la parabola degli storni. In un’incantevole mattina di tanti anni or sono, io e mio padre ci alzavamo alla buon’ora per recarci in una maestosa oasi naturale ricoperta di vegetazione sempreverde che nascondeva al suo interno un laghetto naturale dal quale spuntavano, dritte e alte, migliaia di canne nodose.

La giornata era caratterizzata da un’apparente e favorevole tranquillità che lasciava ben sperare ma, ad un tratto, sembrò sollevarsi un forte vento e un frastuono irruppe improvviso nell’ambiente circostante, come fosse il sospiro d’una zampogna forata.

Era però strano che sulla nostra pelle non avvertissimo nessuna folata d’aria; mi preparai ad assistere all’ennesima profezia. A un certo momento il canneto cominciò a tremare mentre il rumore lievitava progressivamente. Iniziai a temere il peggio e la mia gola si chiuse a cento chiavi, ma la saggia guida paterna mi tranquillizzò e, sorridendo, mi spiegò: “Gli storni, sono gli storni che ’mmasunanu tra le canne”.

Poi impugnò l’arma e bang, bang, bang, nove colpi sparati a striscio fendettero l’aria e piegarono, tagliarono, spezzarono la regalità di quello che fino ad allora costituiva l’Eden dell’acquitrino. Centinaia di migliaia di storni neri si agitarono, sbatterono, urtarono tra loro, emanando dal giallo becco un grido acuto che faceva eco nell’alta boscaglia che ci circondava.

Un rumore di singhiozzi ci straziò gli orecchi e, come un immenso sciame, una nuvola scura si alzò in volo e vorticosamente si allontanò roteando nel cielo per poi disperdersi libera nell’immensità dell’etere, oscurando completamente la luce del Sole.

Seguì, come al solito, l’ingrato compito di raccolta dei volatili che, in mancanza del fedele Gim, spettò d’obbligo al sottoscritto. A distanza di alcuni anni ritornammo sul posto per acquistare da un colono della zona, tale Pieticurtu (piedi corti), una cassa di piselli freschi.

L’agricoltore era persona dai modi gentili e affabili che pazientemente coltivava la propria campagna sin dalla più tenera età. Il suo volto, scavato dagli anni, portava con sé le tracce del tempo: alcune rughe lo percorrevano solcandogli la fronte come il letto di un fiume, le sue labbra erano secche; la pelle, abbronzata e squamosa, ricordava la corteccia degli ulivi secolari.

Ci guardò, salutandoci educatamente, e aggiunse compiaciuto con un sorriso infinito quanto gli orizzonti di Leopardi: “Ingegnere,” (titolo ad honorem conferito a mio padre per meriti lavorativi extra venatori) “stiamo ancora raccogliendo gli storni di quella magica mattina di tanti e tanti anni fa”.

Cosa era accaduto? Si era ripetuto il miracolo biblico della manna piovuta dal cielo avveratasi nel deserto di Sin: per giorni interi i braccianti del luogo avevano abbandonato zappe e forconi, trascurando il lavoro nei campi per raccogliere un’infinità di storni feriti e caduti dall’alto per poi venderli in paese al posto degli ortaggi.

Stornare, nella lingua italiana, significa pure ‘annullare’ ed è uno degli errori da evitare: l’andare in gruppo, in stuoli, come gli storni, ‘annulla’ ogni nostro sforzo con le donne, annientando qualsivoglia tentativo avvicinatorio.

Le possibilità di successo si riducono al minimo; sarebbe come sperare di non fare la fila il lunedì mattina alle poste o il sabato dal parrucchiere. Come aquile nel cielo terso e stellato voliamo alla solitaria ricerca di un’effimera preda che soddisfi le nostre voluttà vagabonde; gli storni, invece, volano a bassa quota, timidi e a stuoli, posandosi qua e là tra un dimesso fischiettio e una battuta d’ali…