Con l’espressione “abbandono del tetto coniugale” si intende l’allontanamento non concordato di un coniuge, con o senza figli, dalla casa familiare. Un gesto che mette fine alla coabitazione matrimoniale.

Ricordiamo che la coabitazione matrimoniale è uno degli obblighi che nasce dal vincolo matrimoniale, e significa in pratica convivenza durevole nella stessa residenza.

Il comportamento del coniuge che si allontana dal tetto coniugale senza motivo è punito dal Codice Civile con il cosiddetto “addebito”.

Ci sono tuttavia dei casi nei quali l’allontanamento è considerato legittimo.

Quando si può abbandonare il tetto coniugale?

Per esempio, se si verificano comportamenti violenti che mettono in pericolo l’incolumità fisica e psichica delle persone. Anche l’infedeltà, l’invadenza dei parenti, la mancanza di intesa sessuale, il comportamento autoritario del coniuge rientrano nei motivi del legittimo abbandono del tetto.

Il coniuge che abbandona il tetto coniugale deve dimostrare l’esistenza di una delle situazioni citate e che giustificano l’allontanamento. La persona deve cioè provare che il suo atto è conseguenza di una convivenza divenuta intollerabile, e che ha dovuto decidere per forza di cose per l’abbandono.

Le conseguenze dell’abbandono del tetto coniugale possono essere civili e penali.

Conseguenze civili dell’abbandono

Vediamo innanzitutto quelle civili. L’art. 146 del Codice Civile dispone quanto segue:

“1. Il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’articolo 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi. 2. La proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare”.

Se ne ricava, in primo luogo, che il coniuge che abbandona il tetto coniugale senza una “giusta causa” viola i doveri coniugali, quelli stabiliti dall’art. 143 del Codice Civile (“Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”).

Chi abbandona si espone anche al rischio di vedersi addebitare la separazione, con le relative conseguenze.

In secondo luogo, si ricava che la giusta causa di allontanamento sta nel venir meno della cosiddetta affectio maritalis. Nell’aver presentato domanda di separazione, di annullamento o scioglimento del matrimonio o di divorzio. Nell’aver causato gravi contrasti, dannosi per la quiete familiare.

In tali casi di impossibilità di prosecuzione della convivenza sarà legittimamente possibile interrompere l’obbligo di coabitazione. E l’abbandono del tetto coniugale non costituirà motivo di addebito della separazione.

La legge italiana al fine di tutelare il fondamentale obbligo di coabitazione, prevede che la legittima interruzione della convivenza possa avvenire solo quando venga meno la comunione materiale e spirituale. Oppure sia in atto una grave frizione tra i coniugi (in giurisprudenza chiamata “ragione di carattere interpersonale”), pregiudizievole per i figli minori.

Conseguenze penali dell’abbandono

Portiamo ora il discorso sul piano penale. L’atto dell’abbandono del tetto coniugale configurerebbe il reato sancito dall’art. 570 del Codice Penale – “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”. In base a esso:

“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da Euro 103,00 a Euro 1.032,00”.

La norma vuole tutelare le esigenze economiche e assistenziali dei familiari, mettendo in rilievo i singoli rapporti tra i membri della famiglia.

Il comportamento qui sanzionato è l’abbandono della casa familiare, sottraendosi ai propri obblighi di assistenza. Tale “sottrazione” costituisce evento del reato e assume rilievo quando comporta la mancata esecuzione degli obblighi di assistenza materiale o morale. Con una precisazione: rispettare uno dei due obblighi non esclude la rilevanza penale del mancato rispetto dell’altro tipo di obbligo.

Quindi, continuare a fornire i mezzi di sussistenza economica non impedisce la “configurazione” del reato se dall’altra parte vi è un totale abbandono morale, tale da non rendere possibile un’evoluzione completa ed equilibrata del minore.

A ogni modo, l’ambito applicativo della norma va limitato a quelle condotte che esprimano una significativa e apprezzabile compromissione delle esigenze del minore.

Il concetto di “domicilio domestico”, inoltre, qui ha una dimensione più ampia rispetto a quella delineata dal Codice Civile. Esso è identificato con la sede abituale del nucleo familiare. Tale domicilio deve essere abbandonato senza giustificato motivo.

Il parere della Cassazione

Sul tema la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che perché si possa dire configurato il reato è necessario che l’allontanamento “risulti ingiustificato e connotato da un disvalore etico e sociale“.

Nel 2020, la Cassazione ha ribadito che:

“L’abbandono della casa familiare costituisce di per sé violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza salvo che si provi – e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata e in conseguenza di tale fatto”.

a cura di Eloisia e Luana Minolfi