
Studio Resente: il potere senza tempo della vendemmia
Alessandro Resente esorta i giovani alle vecchie abitudini e tradizioni come la vendemmia, per sostenere i valori e la vita…
Alessandro Resente esorta i giovani alle vecchie abitudini e tradizioni come la vendemmia, per sostenere i valori e la vita di una volta.
Settembre per me, da sempre, è il mese della vendemmia, dell’uva con i suoi profumi, le sue voci e i suoi colori. I miei primi ricordi risalgono a quando avrò avuto cinque o sei anni, già tondetto (mai stato slim), e mio papà, dove abitavamo, per hobby coltivava alcune vigne. Allora, quando l’uva era matura, bisognava raccoglierla e il mio ruolo, stupendo, era quello di pestarla con i piedi per far uscire il mosto che sarebbe diventato il vino bevuto in famiglia.
Allora tutti intorno che mi invitavano a pestare forte, e ridevano perché era un rito collettivo dove venivano amici e parenti ad aiutare. E poi si mangiava assieme, in allegria. Che momenti e che ricordi!
Poi più grandino, durante il liceo, andavo assieme ai miei amici a vendemmiare presso terzi che ci pagavano. E così potevamo avere dei soldi in più in tasca, da spendere per i nostri desideri.
Si partiva tutti assieme in bicicletta, un panino a pranzo e si raccoglievano i grappoli togliendo, qualora ci fossero, gli acini guasti, e soprattutto stando attenti che non entrassero foglie perché il vino doveva essere il migliore possibile.
Adesso, gradatamente anche la vendemmia sta diventando automatica. Una macchina passa tra i filari e aspira gli acini senza alcuna attenzione o controllo. Tutto diventa meccanico!
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Ovviamente i costi si riducono, ma anche la qualità. Mi ricordo che il proprietario veniva a controllare le casse per vedere che i grappoli fossero perfetti. Adesso invece passa tutto, anche più di qualche foglia! Vedete, la meccanizzazione e l’eccessiva ricerca di massimizzare i profitti fanno sì che si perdano bellissime tradizioni, oltre purtroppo alla qualità.
Il rito e i benefici della vendemmia
La vendemmia era un’occasione per i ragazzi di guadagnarsi qualcosa e capire anche cosa vuol dire lavorare. Invece si sta perdendo anche questa tradizione… A scuola si è creata l’alternanza scuola/lavoro, ma per com’è stata impostata è veramente solo uno dei soliti progetti ideati da chi non ha mai parlato con alunni e insegnanti. Tutto codificato, non fa conoscere il senso del lavoro.
In Italia si stanno perdendo molte tradizioni e lavorazioni.
Ricordo sempre l’intervista alla signora Carla Braccialini, creatrice e stilista del famoso marchio di accessori, che mi diceva che non poteva più fare certe borse perché erano scomparsi, senza eredi o discepoli, molti artigiani che facevano delle lavorazioni straordinarie.
Allora, vista la nostra forza nell’artigianato, che nessun altro paese al mondo ha, perché non creare un dicastero o addirittura un ministero per esso, e creare delle scuole dove si insegnano e trasmettono determinate lavorazioni che potrebbero rafforzare nel mondo la nostra “italianità”, rivelandosi fonte di lavoro, anche ben retribuito?
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Dobbiamo dare il giusto valore e prestigio al nostro artigianato. Quando andiamo all’estero compriamo questi oggettini dell’artigianato locale. Ma pensiamo alla bellezza di certe lavorazioni come le Teste di Moro di Caltagirone, o i tessuti di Fortuny.
Si insegni come impagliare una sedia o fare un ricamo, confezionare i cappelli o i cesti. Si continui la tradizione delle scarpe o dei vestiti su misura. E si sviluppi l’arte della ceramica e del vetro, ma si riprenda anche la lavorazione del cuoio, dove siamo maestri indiscussi.
Investiamo nell’artigianato e ritorniamo con esso a riscoprire un mondo migliore.
Ma cosa c’è di più bello, che creare e dar forma con le proprie mani ad un oggetto e renderlo desiderabile!