Tirare su il seno: come e quando
Tutte le dritte e gli accorgimenti su come far tornare il tuo seno a risplendere dopo un allattamento o l’avanzare dell’età, con il dottor Sito
La mastoplastica additiva, cioè l’aumento del seno, non è l’unico intervento che può migliorare l’estetica di un décolleté.
Per esempio: che fare quando la mammella, dopo essere diventata bella florida (a volte anche troppo) dopo un allattamento si svuota del tutto, e osserviamo il capezzolo che inesorabilmente punta verso il pavimento? Cosa fare quando le mammelle, che in pubertà erano belle sode, addirittura prepotenti, si svuotano e tendono a scivolare verso il basso?
Nessuna paura, anche in questi casi vi sono rimedi e sempre molto efficaci e soddisfacenti. Cerchiamo di capire quali sono.
Innanzitutto, le mammelle che scivolano verso il basso si definiscono ptosiche, e il grado di scivolamento, ovvero quanto il capezzolo punta verso il basso, può spingere il chirurgo verso un intervento o verso un altro.
Ma come si misura la ptosi? Banalmente, con un metro da sarta! La distanza tra capezzolo e fossetta claveare, ovvero quella fossetta che si trova al centro del collo, deve essere di 18/19 cm. 20 centimetri è già un filino troppo, e sopra i 25 cm bisogna proprio correre in sala operatoria. Altri sistemi, non ce ne sono.
Se volessimo invece usare un metodo più empirico per misurare il problema, basterà posizionare una matita orizzontalmente, al di sotto della mammella: se questa scivola in terra, cioè non viene trattenuta, allora è probabile che la mammella sia al suo posto e non meriti correzione. Se invece sta lì bella comoda, vorrà dire che la mammella è pesante e trattiene al di sotto la matita, poiché è evidentemente scivolata troppo in basso!
Allora ecco che interviene il chirurgo. Metodi che tirino su le mammelle senza sala operatoria non ne esistono, e difficilmente verranno inventati… L’intervento che corregge questo difetto – in verità non bello – si chiama mastopessi. È un intervento che si esegue rigorosamente in clinica, con un’anestesia che può essere locale con sedazione o generale, e che spesso – non sempre – richiede una notte di ricovero.
Il chirurgo, in pratica, smonta la mammella e la riporta più in alto, lì dove sarebbe dovuta essere, e dove gli allattamenti o il semplice tempo che passa l’hanno spinta verso il basso, riposiziona l’areola e il capezzolo, et voilà: la mammella guarda di nuovo in avanti con il capezzolo che non piange per terra, ma anzi è ritto in avanti e sorride…
In questo caso però la mammella, dopo l’intervento – dopo cioè questa delicata operazione di montaggio e smontaggio – può perdere anche una taglia, allora non è mai sbagliato aggiungere una protesi, anche non grande ma di sostegno, che dia maggiore robustezza alla mammella.
Certo, in questo caso, mentre per la mastoplastica additiva non vi sono mai cicatrici visibili, qui le cicatrici possono essere presenti. Anche se, nel giro di un anno, tendono a scomparire. Quasi sempre sono una intorno all’areola, e una cicatrice a T rovesciata che dall’areola va al solco sottomammario. Ma poi si schiariscono.
Quali protesi per il seno?
Narcisismo, carenza di autostima, esibizionismo. Con quanti termini, e nessuno piacevole, sono state apostrofate le donne che scelgono di avere o di riavere un bel décolleté!
In realtà, fatto salvo qualche capriccetto delle donne più giovani (ma al di sotto dei 18 anni l’impianto di protesi mammarie è vietato), la donna che si avvicina all’impianto di protesi mammarie – la cosiddetta mastoplastica additiva – è sempre molto consapevole. Ha parlato con le amiche, ha guardato Internet, spesso si è già sottoposta a una o più visite chirurgiche.
Ma occorre avere le idee davvero chiare, perciò ecco piccole ma utili informazioni per la scelta della protesi da fare con il chirurgo.
Il volume. Ogni chirurgo plastico ha in studio esempi di protesi di varie misure, che vengono posizionate nel reggiseno e danno una idea di quel che si può ottenere. Basta nascondere l’impianto, in questo caso fasullo, mettersi di profilo dinanzi allo specchio e osservarsi. Troppo piccola? Si prova quella successiva. Di solito le misure delle protesi salgono di 100 cc in 100 cc, più o meno, come i reggiseni. E nella media italiana, le protesi più adoperate sono quelle che vanno da 270 cc, una terza scarsa, ai 400 cc.
Attenzione a non esagerare: la protesi, quando aumenta di volume, non aumenta solo di proiezione ma anche di larghezza, quindi se la si sceglie eccessivamente grande, potrebbe invadere l’ascella. Una vera mostruosità!
Insomma volume sì, ma attenzione a quanto largo è il décolleté e come è la gabbia toracica.
La forma. Le protesi sono rotonde, certamente le più utilizzate, e cosiddette anatomiche. Quelle tonde ingrandiscono il seno in tutti i quadranti, e non offrono particolari complicazioni.
Sulle protesi anatomiche c’è invece da spendere qualche parola in più. Innanzitutto, non si può e non si deve alterare la forma di un seno. Per cui, se si nasce con il seno tondo, si può certamente ingrandire, ma rispettandone la forma originale. Le protesi anatomiche, invece, trovano una loro particolare collocazione se il seno è un po’ scivolato verso il basso, diciamo di 1-2 cm. Allora, riempiendo maggiormente il polo inferiore, dove cioè la protesi anatomica è più grande, si riesce ad avere l’illusione della risalita del seno. Non male, anche se il seno acquisisce una forma un po’ a pera, che non a tutte piace.
Insomma, non c’è dubbio: la scelta di volume e forma deve essere condotta in accordo con il vostro chirurgo, che saprà di certo illustrarvi tutte le possibilità, e darvi il suggerimento migliore.
a cura di Giuseppe Sito